Comincia la terza edizione de “I Corti” di Librogame’s Land.
Consegnati i racconti-game nei tempi richiesti, è ora il momento di leggerli, giocarli e giudicarli.
Se non l’avete ancora fatto, correte a iscrivervi al forum. Questo vi consentirà di poter commentare e votare i racconti-game ai fini del concorso. Altrimenti potete semplicemente scaricarli e giocarli da soli, passando qualche minuto di relax veloce e, speriamo, di divertimento.
Ogni settimana verrà pubblicato dal sito uno dei racconti e per i 7 giorni successivi sono aperte le votazioni. Dato che la paternità delle opere è riservata e l’autore di questo blog partecipa al concorso, non commenterò gli 8 racconti-game ma mi limiterò a segnalarveli.
Comincia la sfida Alla Luce del Buio, di cui trovate QUI la discussione dove votare e commentare e QUI il racconto-game vero e proprio.
Ecco il Prologo:
PROLOGO
Le donne non corrono per strada. Se lo fanno, però, allora è per qualcosa di veramente importante. Si possono vedere azzimati professionisti uomini, quelli sì, armati di impeccabili ventiquattrore e ancora fragranti di dopobarba, trottare sbuffanti sui marciapiedi per questioni di lavoro che – in fondo – mica cambiano la loro esistenza. Le donne no, hanno una visione più chiara delle priorità della vita, loro.
Questa ragazza, donna, se vogliamo (a quanti anni scatta il passaggio di grado?), è una di quelle che corrono lungo la strada. E’ appena uscita dalla stazione e si sta precipitando verso il vicino, titanico edificio che cela l’intero orizzonte di questo quartiere. Il foulard le svolazza dietro: si comporta come la coda di cavallo che portava da bambina.
E’ stanca, ma sa che questo è il viaggio più importante della sua vita: non smette di correre, nemmeno ora che il grande complesso è davanti a lei. Entra dalla porta automatica e incrocia lo sguardo di due colletti bianchi; non dà loro il tempo di chiedere nulla e sfreccia nell’atrio, riuscendo a infilarsi in uno degli ascensori prima che chiunque abbia il tempo di fermarla.
Rifiata. Studia il suo volto sudato negli specchi che il progettista ha inserito a beneficio dei claustrofobici. O dei vanitosi.
Il suono allegro che annuncia il settimo piano è il colpo di pistola che dà il via alla sua corsa ticchettante nel corridoio spoglio: oltrepassa una scrivania dove un uomo con gli occhiali scuri alza lo sguardo senza aprire bocca, supera alcuni locali di servizio ricolmi di strumentazioni a lei ignote, ed ecco la porta cercata: lui è qui! Spalanca l’uscio con impazienza, ma è accolta dal rimbombo di un pugno sul tavolo e da una violenta bestemmia. Non è solo! Con lui c’è un uomo in uniforme, lo stesso che la sta insultando con veemenza. “Allora, cosa fa qui?”, le urla. “Come può essere qui? Avevo dato l’ordine di lasciare tutti fuori!”
“Conosco i miei diritti”, gli risponde, nella voce ancora l’affanno della corsa, negli occhi già la sagoma del suo amato.
“All’inferno i suoi diritti!”, ribatte l’altro. “Qui il capo sono io e i diritti li faccio io! Esca subito!”
La nuova arrivata sposta lo sguardo su di lui e lo fissa con disprezzo. “Potrei chiamare la polizia. Saremo anche in guerra, ma lei non è al di sopra della legge”.
L’uomo in uniforme respira a fondo, biascica qualcosa; poi, ad alta voce, proclama: “Faccia come le pare, rimanga pure qui finché non se ne sarà andato. Un ultimo saluto non si nega a nessuno”.
La donna si sente in dovere di replicare. “Non lo conosce abbastanza. Lui…”, e gesticola verso il suo uomo, che non ha ancora parlato, “ce la farà”.
“Spreco!”, abbaia l’altro. “E’ un inutile spreco. Lui è come tutti gli altri: non ha speranze di farcela”.
Bestemmia nuovamente, poi si avvia verso l’uscita. “Gli dica quello che le pare, non cambierà nulla. Il suo destino è segnato”, profetizza con un minaccioso indice alzato, quindi si allontana con passo pesante lungo il corridoio.
La donna lo ignora. Lascia passare almeno una decina di secondi prima di parlare all’uomo che ha davanti, profondamente assorto nei propri pensieri. “Io non so di preciso quello che devi fare, tu non me lo hai mai detto… no, non lo voglio sapere adesso. Però, quello che so è che puoi farcela. Io rimango qui, ma sarò sempre con te. Mi stai ascoltando?”
Cento, mille altre cose da dire. Ora però tace, tormentandosi con il pollice l’anello che porta al mignolo destro. Adesso tocca a lui.
* * *
Tocca a te. Vai all’1.