Si è infine conclusa la terza edizione de “I Corti” di Librogame’s Land. Il vincitore di quest’anno, con buono stacco sui racconti seguenti, è Alla Luce del Buio, racconto-game introspettivo, psichedelico e psicologico firmato da “Apologeta”.
Ecco la pagina con i risultati e i commenti, mentre, per chi se lo fosse perso, ecco il racconto e la discussione relativa.
Un ringraziamento e sentiti complimenti a tutti coloro che hanno partecipato, gestito, letto, commentato e votato questi lavori.
Ecco infine l’epilogo del racconto:
Mediti le parole del vecchio meccanico. Cos’è che spinge verso gli altri? Per cosa è necessario uscire da se stessi?
Non lo sai. Mentre un tono cupo inizia a insinuarsi nel bianco, prodromo dell’arrivo del buio, pensi freneticamente agli animali, alle persone… La realtà!
Risuoni come una campana percossa da un enorme batacchio. Un brivido caldo ti riscuote e ti rassicura: scoppi a ridere.
Ridi, fissando senza paura il buio che avanza.
Ridi, con la spensieratezza di un bambino, quella che viene dalla conoscenza innata che le complicazioni degli adulti non sono, mai saranno ciò che conta davvero.
Ridi, perché conosci la risposta!
Nella tua vita, piena di pigrizia, passioni disordinate e promesse non mantenute, hai già sperimentato ciò che ti ha fatto uscire da te. E’ un termine abusato, svilito, sfruttato con brutalità, ma nel suo vero significato è la cifra stessa dell’essere uomini: amore. Non si può amare rimanendo in se stessi.
Apri finalmente gli occhi – i tuoi occhi reali – ed esci da te, ritrovandoti.
* * *
Appena gli viene riferito, il medico dall’impeccabile uniforme bianca pesta un gran pugno sul tavolo. Il portapenne si rovescia e, con un abile slalom fra un compasso in plastica e una logora squadretta, la matita dalla punta smussata rotola lungo il piano, sembra fermarsi in bilico sul bordo, un attimo, forse due, poi rovina a terra. Chi può sapere i danni causati alla mina? E’ invisibile.
Il dottore lascia la scrivania e si dirige verso la 711, incrociando un signore sulla sessantina che sta uscendo dalla camera: piange e ride e parla da solo. Lo scosta in malo modo (l’altro neanche ci fa caso, felice com’è), entra e guarda gli schermi, disinteressandosi della donna chinata sul paziente.
Condizioni perfette.
Neanche quaranta ore fa era praticamente morto.
Quaranta ore in cui quella ragazza non aveva mai smesso di parlargli e di raccontargli un sacco di stupidaggini sul suo passato: ogni volta che passava davanti alla porta le diceva di piantarla, di rassegnarsi e andarsene, ma lei giocava con quel maledetto anello e replicava eppure mi ascolta, non sempre ma qualche volta mi ascolta. Fosse stato per lui, quella commedia non sarebbe durata più di tre minuti. Ma aveva pazientato, fidandosi che la scienza avrebbe fatto il suo dovere; la scienza, invece, l’aveva tradito.
Una lunga ed elaborata bestemmia esce dalle sue labbra. Ci doveva essere stata qualche variabile che gli schermi non avevano considerato quando avevano dichiarato situazione irreversibile. A condannare l’uomo non era il corpo devastato raccolto ai piedi di un monumento ai caduti, quasi un giorno dopo l’esplosione, no: era la mente. Il trauma e le radiazioni l’avevano portata nella fase terminale, la famosa M-loop, che tanto accanitamente gli scienziati studiano negli ultimi anni: anche le ricerche, si sa, seguono le mode. Durante questa fase è sufficiente che il succedersi lineare dei pensieri si interrompa per troppo tempo, o si crei uno dei mille piccoli déjà-vu che costellano le nostre giornate quasi senza che ce ne accorgiamo, e si raggiunge il punto di non ritorno. Perlomeno, così dice la letteratura in materia.
Il medico distoglie lo sguardo dagli schermi e sbircia i due, abbracciati per la risibile intimità che consentono i bendaggi del paziente. Come si può vivere conciati così? Che senso ha?
Un pensiero lo trafigge: questa è una situazione unica… nessuno era mai uscito da un M-loop!
Gli occhi gli si illuminano: quella dannata bomba di stamattina gli aveva rovinato il campo da golf del circolo e il suo umore…
Tutto dimenticato! Le sue mani tremano, mentre già si vede pubblicato sulla Century Review of Medicine: il primo medico nella storia che… l’unico che ha visto… Deve solo trovare uno stagista che gli scriva l’articolo e poi… Dio, il suo nome sarà accostato a Pasteur, a Carrel! Fama, soldi, memoria eterna! Sia benedetta la guerra!
Lascia i due soli nella stanza, immersi in un’inutile contemplazione reciproca, e si allontana senza dire una parola: cosa possono capire, quelli, di cosa importa nella vita?
vorrei ricordare al titolare della testata che ha ottenuto un eccellente piazzamento!
congratulazioni!
è sempre un piacere giocare allo scrittore…