Risorgimento di Tenebra – Le ultime lettere di Jacopo Mortis

Questo racconto partecipa all’iniziativa “Risorgimento di Tenebra” promossa dal gruppo Moon Base, la pagina facebook degli amanti della fantascienza e del fantastico. Nell’ambito del progetto dovrebbero comparire “un Camillo Benso Conte di Cavour Cacciatore di Vampiri, un Mazzini che lotterà contro la casata vampirica degli Asburgo, un Leopardi contro gli zombie, un Garibaldi molto simile ad Ash di Army of Darkness” e molti altri spunti similari.

Le ultime lettere di Jacopo Mortis dovrebbero uscire in 5-6 puntate, sempre attorno alle mille parole.

1

Mi accingo solo adesso a scrivere delle vicende orripilanti ed angosciose che vissi nell’autunno del 18**, perché non dispaia del tutto la traccia di quei fatti quando il male che mi attanaglia avrà compiuto il suo previsto decorso. Sebbene tali eventi siano tanto foschi e terribili che andrebbero rimossi da ogni cronaca e dimenticati, è mia necessità lasciarne oggi testimonianza in queste ultime lettere, nella speranza che altri possano un giorno prender su di sé questo fardello e dare conclusione alle vicende che noi lasciammo tristemente incompiute.

Dio Onnipotente sia misericordioso con tutti noi e ci perdoni dei nostri peccati.

* * *

Tutto cominciò poco dopo il mio ventunesimo compleanno, un’età che vivevo in maniera del tutto felice e spensierata, nella città in cui da alcuni anni la mia famiglia aveva attecchito e prosperato. Ero allora un giovane irrequieto, sebbene amabile, virtuoso e rispettato, e grazie alla benevolenza dei miei genitori frequentavo con una certa liberalità l’Ateneo cittadino appena rifondato e la vita mondana di tutto il Regno, amando soprattutto dilettarmi con quelle amicizie che potessero offrirmi maggiori possibilità di viaggi ed avventure galanti, che fossero a Messina, a Palermo o nella splendida Napoli.

 

Fu al rientro da una bravata notturna, era già passata la mezzanotte, che il mio compagno di baldorie si fece ad un tratto serio e mi indicò un palazzo elegante, presso un’ala del quale si scorgevano ancora lumi accesi, schermati da gran tendaggi. Si fece egli dunque accosto ad un uscio laterale e mi fece cenno con fare di cospiratore, come a dire “Aspetta e lasciami fare: vedrai che sorpresa!”

Bussò egli dunque con forza ed ecco che, dopo qualche minuto, venne ad aprirci un uomo dal portamento serafico e sospettoso, che subito diede segno di riconoscere il mio compagno.

Signor D.” fece il padrone di casa, a lui rivolto, “siete in ritardo, non vi s’attendeva più.” Poi fece cenno a me e riprese, severo: “Non conosco il vostro accompagnatore. Vi debbo ricordare che non siam qui a far festini o a portar amici allo spasso.”

Stavo io proprio per prender parola e presentarmi, scusandomi per l’intrusione presso la sua casa (da me affatto desiderata), quando il mio sodale annunciò con tono serio e formale: “Principe, egli è la persona di cui vi parlai tempo addietro. Il suo nome è Jacopo Mortis ed egli è giovane come me e di origini straniere, ma anche individuo onesto e aperto agli ideali di libertà, unità e illuminazione che noi professiamo. Seppure esitate giustamente di fronte al mio comportamento grossolano, vi invito a non farlo nell’accogliere costui, che a mio giudizio ha tutte le qualità per unirsi a noi.”

Quello che era stato nominato come Principe mi fissò per qualche istante e tosto disse: “Ebbene, signor Mortis, il fondatore della nostra Accademia ha voluto che essa non fosse serrata o proibita a nessuno che ne fosse degno. Spero, per il vostro bene, che voi lo siate.”

 

Fu così che il Gran Maestro di quel collegio di alti spiriti acconsentì quella notte alla mia annessione e ci fece strada attraverso il gran palazzo lungo i saloni più lussuosi, fino ad una scala che sprofondava verso un silenzioso avello sotterraneo.

Egli recava con sé un lume e ci mostrò come discendere i ripidi gradini, cosicché lo seguimmo fino ad un pesante portone bandato di metallo che egli spalancò, lasciandoci passare.

Benvenuti all’Accademia dei Riparatori” disse, introducendoci con gesto teatrale.

Oltre il portone si trovava una camera di forma ovale, arredata come un salotto accogliente e occupata da un nutrito numero di uomini giovani e anziani, che interruppero di colpo la conversazione e si voltarono a scrutarmi con attenzione.

Da principio mi soffermai imbarazzato a sostenere i loro sguardi, cercando al contempo di riconoscere a chi appartenessero quei visi. Alcuni di essi li avevo già scorti presso i corridoi dell’Ateneo, studenti e professori emeriti di questa o quella disciplina, altri li riconobbi come membri preclari della aristocrazia cittadina e vi eran due di essi che mi sembraron semplici vetturini o facchini, sebbene apparissero perfettamente a proprio agio in quel consesso.

Ma ecco, non appena fui presentato e mossi qualche passo nella stanza, accadde che la mia attenzione venisse completamente distolta dai visi dei presenti per essere rapita dalle straordinarie collezioni di oggetti che gremivano le mensole, gli scaffali, i tavoli e le librerie di quell’ambiente e di quelli adiacenti, che in parte potevo scorgere. Vi erano in ogni cantone strumenti astrologici e medaglieri, argenti e sigilli, fossili misteriosi e vasi d’età classica. Una serie curiosissima di idoli dalle fattezze distorte occupava un’intera parete, assieme ad eleganti pitture di Cina realizzate su carta sericea. Gli altri tre lati dell’ambiente (seppur di lati si possa parlare per una stanza ovale!) erano parimenti ricoperti di marmi antichi, erbari, crostacei marini, animali impagliati e volumi delle più svariate fogge e antichità.

Al centro della camera era disposto un tavolo ovale, attorno a cui molti di quei gentiluomini sedevano, gremito di strumenti e amuleti misteriosi, mescolati a carte fittamente vergate di iscrizioni e note erudite.

Una stanza vicina, ben visibile dal punto in cui mi trovavo, era occupata al centro da un gran sarcofago di alabastro con simboli geroglifici su tutti i lati, mentre sul fondo si intravedevano due obelischi neri scolpiti di altrettante simiglianti figurazioni. In direzione opposta, in un altro di quegli ambienti adiacenti, faceva bella mostra di sé una macchina galvanica composta da ruote metalliche e contenitori di vetro colmi di soluzioni trasparenti, che stava rilasciando scariche e scintille sotto gli occhi attenti di due operatori.

Mi ritrovai di colpo, come potete immaginare, strappato a una notte di amabile fatuità e scagliato in una camera delle meraviglie che avrebbe stupefatto anche l’uomo più ritroso.

Eppure in quel momento tentai di sembrar affabile e spigliato e gettai lì una domanda faceta al mio ospite: “Eccellenza, perdonate l’ardire, ma che cosa riparate di grazia in quest’Accademia?”

E quegli a me, richiudendosi alle spalle la massiccia porta di metallo: “Ripariamo il mondo, signor Mortis. Si è aperto un buco nel mondo e noi siamo intenzionati a richiuderlo.”

Continua…
Mauro Longo
Mauro Longo
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5 commenti

  1. Splendido! Spero che il seguito sia già pronto!
    Ti segnalo però una svista: “carte fittamente vergate di iscrizioni e note erudite”. Come fa Jacopo a valutare il contenuto delle note vergate sulle carte sparse sul tavolo?

    • Probabilmente l’autore della lettera ha involontariamente aggiunto alla puntuale descrizione di quella sera delle impressioni dovute ad esperienze successive, in linea con quello che vedrà in seguito in quella camera delle meraviglie. Possiamo forse prendercela con lui per questa svista così banale?? 😉

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