Recensione apparsa su Fantasy Magazine. Per chi fosse interessato alla materia, ecco l’elenco completo delle recensioni oppure la rubrica Giochi di Ruolo, curata da Luca Volpino.
Quando dice che Dungeonslayers è un gioco di ruolo “all’antica”, Christian Kennig, l’autore di questo tedesco rollenspiel, intende proprio riferirsi alla “old school”, la temperie ludica dei primordi del roleplaying game. In quegli anni ormai perduti, “roleplaying” era solo un termine come un altro e interpretare un personaggio voleva dire giocare (a Dungeons & Dragons) più o meno come si giocava a HeroQuest: entra, spacca tutto, evita qualche trappola, risolvi qualche indovinello, ammazza una serie di mostri e scappa in città con il tesoro, per comprare un equipaggiamento un po’ più decente.
Usando le stesse parole del suo creatore, “in Dungeonslayersnon ci sono meccaniche di gioco elaborate e realistiche e non si giocano drammi pseudo-intellettuali pieni di monologhi egomaniaci. Piuttosto ci sono trame lineari nel mondo fantasy tradizionale, dove il male è sempre male, dove i mostri vengono uccisi senza pietà, dove scattano trappole nascoste e in cui incredibili bottini attendono gli avventurieri, mentre le matite e la carta quadrettata fanno la loro magia sul tavolo di gioco.”
In un periodo in cui la metà dei giocatori di ruolo del mondo ha il fiato sospeso in attesa della prossima edizione di D&D, l’interregno è in parte colmato da molti retrocloni di questo gioco nelle sue versioni “original” o “basic”, che tentano di riportare tale hobby indietro alle sue radici più classiche.
Dungeonslayers non è un retroclone ma un regolamento originale, che tuttavia ripropone lo stesso genere di meccaniche di base, semplici, spontanee e immediate che fecero all’epoca la fortuna di tanti sistemi introduttivi, con in più una grande coerenza interna e una uniformità generale delle meccaniche secondarie (cosa che mancava del tutto ai primi D&D). La Quarta Edizione del gioco è stata pubblicata in Germania nel 2010 e qualche mese fa è stata realizzata anche la versione italiana, ad opera della Wild Boar, la stessa casa editrice che da qualche tempo metteva a disposizione online la versione 3.5.
Rispetto a quella precedente, la “Quarta Edizione” di Dungeonslayer non si appesantisce né perde nulla del proprio spirito, acquisendo invece sistematicità, chiarezza di esposizione e organizzazione interna, espandendo le opzioni secondarie e lasciando invariato il nucleo originale delle regole, volutamente semplicissime. Vanno innanzitutto elogiati lo spirito del gioco, la sua “amichevolezza” e la spontanea condivisione gratuita della versione digitale da parte della Wild Boar. Il manuale cartaceo è invece (ovviamente) a pagamento e il suo prezzo è quantomai decoroso, onesto e abbordabile.
Il sistema di gioco è presto esposto: ogni personaggio ha 3 Attributi (Fisico, Mobilità e Mente) e 6 Tratti (Forza, Costituzione, Agilità, Destrezza, Intelletto e Aura). Ripartendo dei punti iniziali tra questi valori e scegliendo Razza, Classe, qualche Talento e un paio di altre opzioni minori il personaggio è pronto e può essere lanciato all’avventura. Il sistema per mettere alla prova le capacità di un avventuriero è altrettanto semplice: ad ogni azione che il nostro eroe deve compiere bisogna tirare un dado a venti facce e confrontare il risultato alla somma dei propri valori inerenti (sempre 1 Attributo e 1 Tratto). Se il valore del dado è uguale o minore al proprio, allora l’impresa è compiuta, altrimenti fallita.
Su questa semplice “impalcatura” di gioco si basa poi tutto il resto: modificatori, risultati critici, avanzamento per Livelli, accrescimento dell’Esperienza, sistema di guarigione e danni, Magia, uso di Talenti e Classi eroiche, Combattimento. Potete farvi un’idea complessiva sfogliando le pagine del manuale, che trovate sul sito della Wild Boar.
Completano il manuale le parti dedicate a Incantesimi, Equipaggiamento, consigli e strumenti per il Master, un Bestiario, un piccolo scorcio di ambientazione (Caera, un mondo fantasy “della porta accanto”) e qualche avventura introduttiva.
Come giudicare, alla fin fine, Dungeonslayers?
Sicuramente si tratta di un gioco che non cerca l’originalità, né di ambientazione, né di regolamento, né di “flavour” complessivo. Non la cerca e ovviamente non la trova.
Il senso del “fantasy della porta accanto” è colto abbastanza bene, così come un vecchio modo di giocare hack&slash, dungeoncrawl o EUMATE che dir si voglia, ed è possibile finalmente trovare un gioco “nuovo” che offra questo tipo di esperienza senza incappare nel solito D&D delle prime edizioni, con il nome camuffato.
Le regole sono funzionali e abbastanza semplici da essere immediate, ma anche contornate da una gamma di opzioni tanto vasta da coprire ogni aspetto che possa prima o poi interessare ai giocatori. Da questo punto di vista il gioco si lascia giocare da solo, nella migliore tradizione dei gdr fantasy “base” o introduttivi.
Quello di cui Dungeonslayers avrebbe però davvero bisogno, per distinguersi dalla grande massa di giochi similari, sarebbe di radicarsi e creare un retroterra condiviso, un ambiente e una comunità di appassionati che possano, giocandoci, dare maggiore spessore all’ambientazione e renderla più riconoscibile.
Le potenzialità ci sono, ma adesso occorre un sostegno editoriale e promozionale adeguato, che faccia emergere questo gioco “all’antica” al livello dei giochi dei giorni nostri, molto competitivi.
Come credo di avere già scritto, secondo me si fa un torto alla prima generazione di d&d quando la si presenta come una versione “eumate”, superficiale, e soprattutto dalle trame lineari.
Impedire che i tre difetti si presentino dipende dall’abilità del master.
Giocare a [un gioco di ruolo qualsiasi dal 1978 a oggi] come se fosse Heroquest? Certo, facilissimo. Lo puoi fare con cthulhu, con vampiri, con quello che ti pare! Se il problema sono le trame lineari, non c’è talento, pila di manuali di ambientazioni, o Professione: Sarto che ci possa salvare.
Se il master sa presentare un mondo (o anche solo uno scenario) coerente nel quale i giocatori possono fare scelte significative, che li rendono padroni del proprio destino e fautori del loro divertimento, non c’è bisogno né del Manuale del Perfetto Imbianchino né di otto capitoli sugli aspetti reconditi della personalità contorta del personaggio.
Per il resto, concordo riguardo a ciò che manca in DS. Per questo, a questo punto, anche grazie all’invasione dei retrocloni e alla valanga di materiale reperibile anche gratuitamente, non vedo per quale motivo lo si dovrebbe preferire a un retroclone del d&d base o dell’advanced…
Quel che dici è vero.
E’ vero anche però che anche il “gioco” deve fare la sua parte: con la sua grafica, con le sue regole, con le sue illustrazioni, con la fuffa, con la descrizione dell’ambientazione. Non dirmi che per te non è in primo luogo il manuale (o la scatola) a trasmetterti “il senso del gioco”… quello che chiamano “flavour”…
Certo!! Quello che volevo dire è soprattutto che la linearità o meno dello stile di gioco è però tutta sotto la responsabilità del master!