Lo studio di fonti scritte e iconografiche sta di recente facendo emergere un segreto fino ad ora perduto tra le nebbie della storia. Prima della venuta a Messina di Riccardo Cuordileone, nel 1190, un misterioso Monastero di Monaci Neri sarebbe sorto fuori dalle mura cittadine, su una striscia di terra protesa sul mare. Il feroce sovrano normanno avrebbe preso con le armi il controllo della struttura e la avrebbe usata come base durante la sua permanenza in città, prima di arroccarsi nel Castello di Mategrifone.
Il Monastero sarebbe sorto tra le foci dei torrenti Trapani e Annunziata, su un braccio di terra dunosa e pietrosa creato dai detriti delle fiumare. Secondo questa teoria, sarebbe quindi esistita fino al medioevo una lingua di terra, con le proprie fortezze, monasteri e fari, che avrebbe reso il porto di Messina ancora più protetto di come sia adesso.
Riccardo, per fortificare ulteriormente il Monastero, avrebbe ridotto il promontorio che lo univa alla terraferma. Nel corso dei secoli, maree e correnti lo avrebbero poi reso una vera e propria isola e, infine, i terribili terremoti del 1390 lo avrebbero per sempre sommerso sotto le acque dello Stretto. Perfino Antonello da Messina avrebbe ritratto l’isola oggi scomparsa, nella celebre Crocifissione di Sibiu.
Ma chi erano questi Monaci Neri? Secondo le fonti essi celebravano la liturgia secondo la tradizione greca, ma non erano greci. Erano invece “Grifoni”, ovvero quell’accozzaglia di “musulmani e greci” che i Normanni e Riccardo disprezzavano, di cui dicevano fosse piena la città di Messina e contro i quali eressero poi la rocca Matagrifone (“Ammazza-Grifoni”), un nome che è tutto un programma.
Il nome Grifoni significa forse “greci” “orientali”, “barbari” o “dal naso adunco” ed essi dovevano essere monaci di origine africana o mediorientale, molto diffusi in un’Italia meridionale così intrisa di spiritualità cristiana-orientale.
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