Il Codice Cariddi sta per uscire su Amazon.it in una nuova versione rivista e aggiornata, come kindle book e libro cartaceo. Per l’occasione sono stati aggiunti articoli e approfondimenti speciali. Ecco il quinto di questi, dedicato al monastero di San Filippo il Grande di Messina.
Il monastero basiliano di San Filippo
Messina è una città che possiede tre millenni di storia ma la maggior parte del suo passato è distrutta, dimenticata, sepolta o sommersa. Una di queste ere perdute, di queste città invisibili cancellate e nascoste da quella attuale è la Messina bizantina, un luogo più vicino a Costantinopoli che a Roma, dove la lingua corrente era quella greca, le chiese praticavano il rito greco e i monasteri erano basiliani.
La città dello Stretto e l’intero territorio del Valdemone videro nell’VIII secolo l’arrivo di un gran numero di monaci orientali, in fuga dalle persecuzioni iconoclaste, che portavano con sé una messe straordinaria di tradizioni, arti e cerimoniali.
Eremi, cenobi e monasteri sorsero in tutta l’Italia meridionale, irradiandosi da diversi centri principali, uno dei quali era la stessa Messina, allora crocevia di popoli e genti. Qui come altrove, le direttrici di distribuzione dei centri monastici seguirono le grandi vie di comunicazione, come le strade e soprattutto le tipiche fiumare. Questa strategia di irradiazione, ragionata e pianificata, obbediva alla logica ecumenica dei centri basiliani, oltre che a precise istanze di carattere economico, come il controllo e l’organizzazione di vaste aree e lo sfruttamento agricolo di valli e contrade, nonché la creazione di punti collettivi di accentramento di beni rustici, come magazzini, frantoi, palmenti e mulini.
Il monastero di San Filippo il Grande, segue appieno questa logica ed è un perfetto esempio di questa strategia territoriale. Sorto a sette km a sud del centro urbano, “fuori porta dei legni”, lungo la fiumara di Pistunina o Contesse, esso fu eretto attorno alla grotta, ancora visitabile, che si ritiene sia stata abitata intorno al IV-V secolo da San Filippo di Agira. Il monastero era stato dichiarato libero ed esente da ogni potere secolare ed ecclesiastico nell’anno 1100, anche se la data ufficiale di fondazione (o di rifondazione normanna) è del Maggio 1145, secondo quanto ci dice un diploma di Ruggero I.
Nel libro “Messina nobilissima” questa struttura è descritta come un’abbazia che “per bellezza e comodità di stanze, per frescura di giardini e di fontane, per il sito piano ed eminente, per l’aere salubre, è tenuta per il più bel luogo tra l’altre abbadie, di S. Basilio in Sicilia”, ed effettivamente esso era considerato il più bello tra i monasteri basiliani sorti in Sicilia.
San Basilio Magno, Vescovo e Dottore della Chiesa, nacque verso il 330 in Cesarea di Cappadocia. Fu sicuramente un “figlio d’arte”, dato che ebbe un nonno martire e una nonna, entrambi i genitori e tre fratelli santi. Nei 49 anni della sua vita, dopo aver insegnato retorica e aver visitato i grandi asceti del suo tempo, in Egitto, Palestina e Mesopotamia, divenne Vescovo di Cesarea e si dedicò all’amministrazione del suo territorio e all’organizzazione delle attività caritevoli. Le sue “cittadelle della carità” o “Basiliadi” erano centri con funzione di locanda, ospizio, orfanotrofio, ospedale e lebbrosario che gli conferirono un ascendente fortissimo sulla popolazione della sua diocesi. L’appellativo “Magno”, conferitogli ufficialmente dalla Chiesa Cattolica lo contraddistingue come uno dei personaggi principali del Cristianesimo.
La Regola Basiliana, da lui postulata, è in sintesi la figurazione della vita monastica come stato ideale per raggiungere la perfezione in Cristo. Dopo aver conosciuto le varie forme di eremitaggio e monachesimo del suo tempo, alle origini del Cristianesimo, Basilio decise che la via migliore per l’uomo di Dio non fosse quella dell’isolamento, ma quella del Cenobio, una comunità di monaci con celle e luoghi di meditazione autonomi, ma con luoghi di preghiera e di lavoro collettivi. In questo modo infatti i monaci avrebbero potuto correggere reciprocamente i propri difetti e sostentarsi nei momenti di afflizione. Basilio volle inoltre che i monaci fossero integrati nella vita della comunità, per cui essi esercitavano anche il ministero pastorale e vivevano in contrade vicine ai centri abitati, relazionandosi costantemente col mondo oltre che con l’assoluto. Il lavoro manuale e la pratica artigianale furono considerati fondamentali: monaci basiliani progettavano e costruivano da soli le proprie dimore, i propri luoghi di culto e le strutture della Basiliade, tessevano abiti, coperte e arazzi per sé, per le loro chiese e per i bisognosi, costruivano scarpe e calzature, coltivavano direttamente i loro orti officinali o le terre agricole dei dintorni dei loro conventi
Seguendo questa logica, il Monastero di San Filippo riuscì ad accentrare attorno alle proprie strutture e pertinenze la popolazione della vallata, contribuendo in maniera determinante alla creazione del villaggio di San Filippo: i dissodamenti e le messe a coltura, l’impianto di specie vegetali, l’organizzazione della produzione e degli scambi (anche quelli, legati alla sericoltura, peculiarissimi della storia della nostra città), l’insediamento del nucleo abitativo, il coordinamento “politico” e culturale della zona, tutto questo si svolgeva in nome e sotto il controllo dei monaci.
Tra il 1328 ed il 1336, secondo quanto si legge dai registri pontifici del XIV secolo e dai verbali delle visite effettuate dall’archimandrita Ninfo, del Monastero di San Salvatore, nel generale decadimento del monachesimo greco in Sicilia, San Filippo continuava a godere di condizioni non troppo disagiate. Nel XV secolo esso, come tanti altri siti religiosi di rito greco, passava in mano agli Abati Commendatari, per poi subire un’importante ristrutturazione a seguito del terremoto del 1783.
Oggi il Monastero, dopo essere stato a lungo proprietà privata, è passato al demanio comunale. Acquistata e abbandonata al degrado per anni, la struttura ha perso purtroppo la maggior parte degli arredi con cui era stata trasmessa al bene pubblico e molte delle sue parti sono cadute in rovina.
Nonostante la recente e proficua gestione del Consorzio Itinerari Basiliani, non si è riusciti ancora a portare a compimento la necessaria opera di riscoperta e rivalutazione storica, documentaristica e architettonica di cui la struttura ha bisogno.
Il livello di interramento del cortile centrale e lo stato di alcune pertinenze promettono comunque una messe di dati archeologici importanti, che potranno venire fuori a seguito di future campagne di scavo.
Tuttavia, ancora nel 2012, questo importantissimo monumento risulta del tutto abbandonato a se stesso.