Cosa succede in una sessione di Ultima Forsan? Ecco il resoconto romanzato di un’avventura giocata al tavolo: Gli artigli di San Lucifero!
Ricordate l’avventura “Gli artigli di San Lucifero“, pubblicata alcuni mesi addietro e ambientata in Sardegna? Uno dei giocatori più appassionati di Ultima Forsan, Marco, mi ha scritto di averla fatta provare ai suoi amici e me ne ha mandato un resoconto!
In via del tutto eccezionale ho pensato di postarla sul blog, con l’accortezza, segnalatami da Marco, di sottolineare che sono state prese alcune licenze poetiche sulla conformazione di Cagliari e simili…
Ringrazio allora Marco, Stefano (Von Klauser), Emanuela (Elsa), Andrea (Jurgen) e Matteo (Miserere) per averci mostrato cosa succede in una sessione di Ultima Forsan.
Lo “hook” iniziale per gli eroi è stato il Capitano degli Ospitalieri del veliero che da Messina li portava a Cagliari, e che, a sua volta, aveva ricevuto una missiva con la richiesta d’aiuto dell’Abate dei Luciferini, un vecchio amico.
La sessione è stata giocata a lume di candela, spegnendone alcune dopo l’entrata al monastero per evocare l’effetto di un’illuminazione più bassa, sotterranea; come colonna sonora è stata utilizzata la Passacaglia del Landi “Homo Fugit Velut Umbra” come introduzione per l’atmosfera, quindi una tarantella, la “Carpinese” riadattata dagli “Arpeggiata”, come background per Cagliari all’aperto, e, nel monastero, i brani più cupi cantati in latino (“Beata Viscera”, “Kyrie”, “Scriptorium” etc.) dalla colonna sonora de “Il Nome della Rosa”.
PS: le immagini sono state scelte da me e non hanno quasi attinenza con il testo. 😀
Gli artigli di San Lucifero – novelization
Anno Domini MCDLXXII, Cento Viginta Quarto Da La Fine De Lo Vetero Mundo, Ventunesimo Die de Septembre.
E’ il pomeriggio del primo giorno d’autunno del 1472 quando l’Inquisitore Gunther Von Klauser, accompagnato dai Cavalieri Teutonici Jurgen Unterberger ed Elsa Haupstein sbarca dal veliero degli Ospitalieri presso il porto di Cagliari.
Tranne qualche piccolo peschereccio, il veliero è l’unica imbarcazione al molo; sulla banchina, mentre vengono lanciate le gomene per l’attracco, si radunano marinai in cerca di ingaggio, mercanti pronti a contrattare, ragazzini curiosi. Dopo essersi congedati dall’austero ma amichevole Capitano degli Ospitalieri Grimaldi da Montecristo, i tre teutonici scendono dalla passerella di legno, le vesti dell’Inquisitore scompigliate da una folata di maestrale che sembra quasi volerlo respingere indietro per un momento. Nel vento si mischiano l’odore dei cespugli di mirto e delle erbe aromatiche dell’entroterra, ma anche un sentore di fumo, come di roghi lontani.
Il rumore della risacca si accompagna agli ordini abbaiati dal Capitano, che si confondono tra le strida dei gabbiani ed il vociare dei ragazzini, mentre l’Inquisitore e i due compagni lasciano che lo sguardo spazi sull’urbe fortificata, le mura bianche delle case che iniziano a tingersi nel sole obliquo del tardo meriggio, prendendo nota di come i tetti sembrino salire verso l’imponente castello che sovrasta l’abitato, incastonato nell’anfiteatro di roccia del fianco delle colline che proteggono da settentrione la città.
E’ Elsa a notare per prima l’uomo che viene verso di loro, cui i ragazzini con sguardo affascinato ma timoroso sembrano cedere il passaggio naturalmente, levandosi dalla sua strada. Prende nota della scuro giaco di cuoio borchiato e della Misericordia al suo fianco, ma è la maschera di cuoio che gli pende sul petto, tenuta al collo da lacci, a farle capire l’esitare dei presenti: un Beccamorto. Probabilmente anche un Cacciatore di Morti, dalla voulge che porta dietro la schiena. Fermatosi davanti a loro, con fare umile ma composto, si presenta semplicemente come “Miserere”, e dice loro di essere stato inviato dall’Abate Amadeo da Eboli, del monastero dei Luciferini, per scortarli da lui. Von Klauser risponde con un cenno, indicando di far loro strada, ed i compagni, presi da terra gli zaini da poco appoggiati, lo seguono.
Attraversano la città, risalendone le strette vie, salendo per le anguste e ripide scalinate dei vicoli, oltrepassando la grande chiesa di Sant’Eusebio, santo protettore dell’urbe, fino a giungere al punto più alto, quello dei quartieri direttamente a ridosso dell’anfiteatro di pietra, fianco della montagna. Qui si trovano davanti a quello che potrebbe essere il portale di un’antica e modesta chiesa di campagna, non fosse incastonato nella viva roccia. Nella parete ad esso sovrastante, a tratti, s’aprono i fori di camini d’aerazione nella viva roccia; da alcuni di essi, la fila più in alto, escono colonne di fumo denso e nero, che fluttuano fin’oltre la cima del dirupo, per poi essere disperse dal vento. Un piccolo portone rinforzato in ferro viene aperto davanti a loro con un rumore ferraginoso, e, scendendo di alcuni gradini, entrano all’interno, illuminato solo da due basse finestre a vetro piombato da cui filtra la luce del tardo meriggio, mentre due monaci, ciascuno dotato di un grosso mazzo di chiavi ferree, escono dall’ombra, e richiudono dietro di loro le molte serrature e sbarre del portone.
Un terzo monaco, più vecchio degli altri, li guida avanti tra le ombre della chiesa ipogea, fino a un punto della cappella dove dovrebbe esserci un’altare, e che invece si rivela una ripida scala di pietra scavata nel pavimento che cala nelle viscere della terra. Scendendone i gradini, si ritrovano in corridoi sotterranei che odorano di tufo e vecchie cantine ben aerate, ma anche del fumo d’incenso che ha intriso la roccia in secoli di rituali, e, come venisse da più in basso, l’ombra alle nari di qualcosa di più fuligginoso, come di fornaci che ardano nel profondo, bruciando torbe e carboni, senza mai spegnersi.
Introdotti nelle stanze dell’Abate, fanno conoscenza con padre Amadeo da Eboli, priore dei Luciferini. Questi, uomo dai capelli corti e grigi e barba caprina, occhi color ghiaccio, con un piglio e dignità quasi militare, ma segnato da una ferita mal curata ad una gamba, che lo costringe ad appoggiarsi ad una corta verga, esamina brevemente la missiva affidata loro dal Capitano Ospedaliere, e dopo un breve esame decide di potersi fidare di loro, come prima di lui ha fatto il suo amico.
Rompendo l’indugio dopo qualche momento di silenzio, rivela dunque loro la causa della sua ricerca d’aiuto: le Reliquie di San Lucifero non sono più al loro posto. Ed uno dei due Custodes, Frate Saturnino da Ulassai, è scomparso.
L’Abate Amadeo non fa mistero di come, benchè il culto di San Lucifero, protettore di coloro che combattono i Morti, sia ben accetto in città, l’ordine monastico a lui dedicato, che pure svolge compiti necessari al servizio della comunità, non sia ben visto da tutti. Riunendo la funzione di occuparsi della Buona Morte, e di quanto normalmente viene fatto dai Beccamorti, i Luciferini hanno attrratto su di se una reputazione sinistra, rinforzata dal fatto che il monastero è interamente sotterraneo, e che dai suoi camini di sfiato nel fianco della montagna si levano continui i neri fumi delle fornaci crematorie.
Un’ulteriore scandalo, come quello della sparizione delle Reliquie potrebbe compromettere gravemente l’equilibrio tra i monaci ed il popolo del Giudicato.
L’Inquisitore Von Klauser capisce immediatamente la gravità della situazione, ed accetta di buon grado di condurre un’investigazione. L’Abate fa dunque chiamare i due Missi, Frate Priscus ed il vecchio Frate Fabius, che soli hanno piena facoltà di muoversi tra i diversi livelli del Monastero, compreso il quinto e più profondo. Lasciate le stanze dell’Abate, accompagnati dal Beccamorto Miserere, che a quanto pare è vecchia conoscenza dell’Abate Amadeo, e ne gode piena fiducia, vengono condotti attraverso un dedalo di corridoi, refectoria, celle, oltre i vasti scriptoria dove decadi di sapere sul Flagello vengono minuziosamente ricopiati, oltre la sala capitolare, sempre più giù, verso l’ultimo e più profondo livello, quello delle Fornaci e del Sancta Sanctorum.
Mentre il vecchio e silenzioso Frate Fabius apre, per poi chiudere dietro di sè, al loro passaggio, le tre distinte grate di ferro battuto che, una dopo l’altra, proteggono le scale che scendono all’ultimo livello, l’Inquisitore intavola una discussione con Frate Priscus sul perchè questi stimi non necessario lasciarli accedere alle Fornaci, e di come possa ritenere che i monaci che vi si trovano non potrebbero essere in alcun modo coinvolti. Priscus, dopo qualche reticenza, gli spiega che quei monaci si offrono volontari per lavorare alle Fornaci a vita, sapendo che mai le potranno abbandonare: per prevenire che, contagiati accidentalmente dall’Atramento dei corpi di cui devono disporre, uno di loro possa scatenare un Pandemonio nel monastero, infatti, essi vengono incatenati per una caviglia al loro posto, e lo abbandonano solo quando risalgono come fumo dai camini, al termine della loro vita mortale.
Camminando lungo il corridoio ed oltre gli accessi alle Fornaci, il gruppo giunge al Sancta Sanctorum, il cui portone ferrato viene aperto, con due distinte chiavi, dai Missi. All’interno, una piccola camera a volte bottata, le pareti coperte di ex-voto di stagno, un’unica nicchia nel muro di fondo, che ospita una teca di vetro delle dimensioni di una bara, aperta. Von Klauser esamina per un pò alla luce della lampada ad olio la teca: indubbiamente, la serratura è stata forzata. Più tardi gli verrà spiegato che, mentre i due Missi e i due Custodes hanno tutte le chiavi del Monastero, l’unica chiave della teca è in possesso dell’Abate. Trovando dei graffi all’interno della bara vitrea, l’Inquisitore ne deriva l’impressione che chiunque abbia preso le Reliquie debba averne separato le ossa, probabilmente per poterle trasportare più facilmente, e che questi siano i segni lasciati da quell’atto, necessariamente violento.
Richiuso il Sancta Sanctorum, Frate Priscus e Frate Fabius li conducono alla cella di Frate Saturnino. Poco prima, Frate Priscus gli aveva riferito di come Frate Saturnino fosse stato malato e chiuso nella sua cella per alcuni giorni, assistito dall’altro Custode, Frate Eusebio, prima che lui stesso, accompagnato da Frate Fabius, scoprisse la sparizione del monaco ed il furto delle Reliquie nel suo giro dopo il Mattutino di due giorni fa.
La cella si rivela una piccola stanza, dove si trovano solo uno scrittoio-inginocchiatoio, un pitale, ed una panca…senza pagliericcio. Incuriosito dalla mancanza di tale minima comodità, l’Inquisitore si china ad esaminare il legno del giaciglio, e nota come sia stato ben spazzolato e strigliato di recente, rimuovendo ogni possibile traccia. Infastidito, poichè sperava di trovare eventuali segni di spargimento di sangue o di violenza, per capire se qualcuno, introdottosi nel monastero, avesse costretto Saturnino con la forza a portarlo fino alle Reliquie, Von Klauser sta per alzarsi, quando, sotto la panca, nota delle macchie scure che segnano la pietra del pavimento: ormai asciutte, esse sono di un’origine che gli è sconosciuta.
E’ Miserere, il Beccamorto, che, preso da un presentimento, interviene, e, chinatosi, e strofinatele con un pezzo di garza, le osserva, e ne riconosce l’esecrata e blasfema natura. Atramento!
L’espressione dell’Inquisitore si fa immediatamente più dura, e con voce bassa e minacciosa chiede di essere portato al cospetto di Frate Eusebio nella sua cella.
Quando vi sono davanti, Elsa mette mano al petrinale, mentre Jurgen, impugnata la propria voulge, con la punta spinge lentamente la porta finchè si apre. All’interno, una cella del tutto simile all’altra, fatto salvo la presenza di qualche libro e del pagliericcio sulla panca, il tutto in ombra, l’unica fioca luce quella di una lampada ad olio che va esaurendosi. Sull’inginocchiatoio, le mani conserte, in preghiera fervente, l’esile figura del secondo dei Custodes. Quando i due Teutonici entrano ad armi spianate con fare minaccioso, per poi farsi di fianco e lasciare spazio all’Inquisitore, il piccolo frate leva lo sguardo esterrefatto, e, per qualche momento, il silenzio cala sulla stanza. Frate Eusebio fa per alzarsi, facendo sì che Elsa punti il petrinale contro di lui, ma gambe addormentate da ore di immobilità lo tradiscono, e cade seduto sulla panca, la fronte imperlata di sudore. Von Klauser entra allora a passi lenti nella stanza. Con fare studiato, senza levare lo sguardo dal frate tremante, prende un involto di cuoio che pendeva dietro la sua cintura, e lo srotola piano sul legno dello scrittoio, rivelando una serie di lame, punteruoli e seghetti che potrebbero far pensare agli strumenti di un Dottore del Flagello…ma che, tristemente, hanno una funzione ben diversa.
Ancor prima che l’Inquisitore che lo sta fissando prenda la parola, è Frate Eusebio a parlare: “Non ci sarà bisogno di quelli”
“Io…io pensavo di fare la volontà di Dio. Quando mi sono reso conto che la febbre non era normale, ed ho visto quanto cinereo fosse divenuto in volto, mi ha guardato implorante…era così spaventato. Ma anche risoluto. Mi ha chiesto lui di legarlo al letto, e di assisterlo, per dargli una possibilità di continuare a servire il volere di Nostro Signore. Quando si passa un’intera vita qui sotto, con quel rumore, distante ma sempre presente, del crepitare delle Fornaci che ardono, la fede è messa a dura prova dal costante ricordo della mortalità umana.”
“E così l’ho vegliato. Per quattro giorni e tre notti l’ho vegliato, durante l’Agonìa, pregando con lui, mentre il Flagello tentava di prenderselo. Nei suoi pochi momenti di veglia, i suoi occhi non lasciavano mai la Misericordia che stringevo tra le mani mentre sedevo di fianco a lui. Verso la fine, quando tutto fu compiuto, e capimmo che non sarebbe morto, ma che nemmeno era più tra i Mondi, mi disse che avrebbe dovuto sparire nell’oblìo, che tutti avremmo dovuto dimenticarlo.”
Solo in quel momento, i Teutonici notano un particolare che prima era loro sfuggito: a differenza di altri membri del clero, tutti i Luciferini, come fossero Beccamorti, portano alla cintura, discretamente celata tra le pieghe del saio, una Misericordia. Frate Eusebio non fa eccezione, ma nemmeno dà segno di volerla afferrare. La canna del petrinale di Elsa, nondimeno, resta puntata verso il Monaco.
“Così stanco. Ero così stanco. Sapevo cosa voleva dire Saturnino: l’Abate Amadeo non avrebbe mai permesso che un Corrotto rimanesse nel nostro novero. Ma nulla poteva farmi sospettare quello che aveva forse già progettato di fare. Riuscivo solo a pensare che avevo bisogno di riposo, di lasciarmi cadere, finalmente, tra le braccia di Morfeo. Lo liberai dalle corde, e gli dissi di riposare, e pregare che gli fosse concessa saggezza. Che sarei tornato da lui dopo poche ore, e avremmo trovato una soluzione”.
“Quando mi svegliai suonava il Mattutino. Frate Priscus e Frate Fabius erano, attoniti, davanti alle porte spalancate del Sancta Sanctorum. Nè Saturnino, nè le Reliquie, erano più tra noi”.
La canna del petrinale di Elsa si abbassa, ad un cenno di Von Klauser, ed anche Jurgen rilassa la presa sull’arma.
Il capo di Frate Eusebio è chino a terra, e lo sguardo dell’Inquisitore aleggia pesante su di lui per lunghi minuti silenziosi.
“Com’è stato possibile il contagio del Flagello? Forse da uno dei corpi che dovevano essere distrutti nelle Fornaci?”, chiede Von Klauser.
“Tutto è accaduto così velocemente…vi confesso che non lo so, non lo so proprio. Era qualcosa di cui ci saremmo occupati quando l’Agonia di Frate Saturnino avesse avuto termine, in un modo o nell’altro, suppongo. Ma poi, la sparizione delle Reliquie, ha preso il sopravvento…
“…mi pare di ricordare come dei graffi sul suo petto, ma, non volli esaminarli: voi capite ch’egli era legato, e quand’anche si fosse unito ai ranghi dei Morti, ero lì io per porre fine al pericolo…ma io stesso non potevo permettermi di fare di più che rinfrescarne la fronte e dargli da bere. Rischiare il contagio, e di divenire io stesso cagione di un Pandemonio, non potevo permettermelo…”
Solo le lacrime cui si lascia andare Frate Eusebio rompono il greve, prolungato silenzio dell’Inquisitore.
Poi, bruscamente, il Teutonico si gira e va alla porta. Si ferma sulla soglia, e, girando di poco il volto, sibila:
“Siete stato uno stolto. Renderete conto della vostra condotta al vostro Abate.”
Rivolgendosi a Frate Fabius: “Rimanete fuori dalla porta, che non esca di qui finchè non verrà convocato da Amadeo”.
Mentre il silente vecchio richiude a chiave la porta della cella, il gruppo viene ricondotto da Frate Priscus su per le scale attraverso le tre grate, ed oltre il dedalo di livelli e corridoi, fino a tornare alla stanza dell’Abate, dove Von Klauser riferisce quanto scoperto, mentre Amedeo da Eboli digrigna i denti ed a malapena contiene l’ira e frustrazione alla conferma che uno dei suoi Custodes non solo è divenuto un Corrotto, ma che è reo della sparizione delle Reliquie.
“Avete idea di dove possa essersi nascosto? Conosceva qualcuno, che voi sappiate, fuori dal Monastero?”, chiede Von Klauser.
Amadeo da Eboli si ferma, pensando. Sussurra tra se e sè. “Cercherà di raggiungere la Barbaria. Forse anche…forse anche di avere udienza dai Re Pastori…dev’essere per questo che ha preso le Reliquie, per ingraziarseli ed ottenerne la protezione”.
L’Abate si copre il volto con una mano, resta per un pò in silenzio. Poi, riprende la parola.
“Un fratello. Saturnino ha un fratello maggiore, Malagrema. Un pericoloso brigante, un capo rispettato tra i furones della Morra. Fu lui a prendersi cura del fratello minore, ed a fare una cospicua donazione al monastero, quando Saturnino ne ebbe l’età, perchè venisse accettato nell’ordine Luciferino. Sicuramente si sarà posto sotto la sua protezione. Ma temo che voglia abbandonare Cagliari, per tentare la fuga nelle terre dei Reprobi. Dovete fermarlo.”
“Cercate Malagrema al quartiere del Pezzu Mannu, presso la taverna di Baccalamanza. Se non lui, troverete almeno il suo secondo, Iago o’Manuferru. Lui saprà dove si trova il suo capo e, con lui, Saturnino.”
L’avventura continua, ma per adesso ci fermiamo qui! Se avete altre storie che volete raccontare, segnalatemele pure! 😀