Alessandro Vicenzi scrive racconti in cui l’avventura si mescola alla storia e al fantastico. Intervista a uno degli autori di Zappa e Spada!
“Si gettarono uno contro l’altro. L’acciaio incontrò l’acciaio.
Del Cane era stanco, cercò subito di colpire per uccidere e chiudere il duello. Il suo avversario parò il fendente con gesto elegante, ma gemette per lo sforzo. Doveva essere un buon spadaccino, ma era ferito.
Si separarono, entrambi con il respiro già corto. L’aria gelida della notte scorticava la gola.
Del Cane attaccò di nuovo, un altro colpo pesante, privo di grazia e facile da parare. Lo spadaccino però non cercò di bloccare con la spada: schivò di lato. Sorpreso, Del Cane si trovò sbilanciato e privo di difesa. Per fortuna il colpo di risposta dell’avversario scivolò via sul metallo dell’armatura che portava sotto al mantello.
“Toccato,” disse lo spadaccino.
“Dovrai fare di meglio,” rispose.
Si mise in guardia, ma lo spadaccino si gettò all’attacco per primo, con una serie di colpi leggeri che servivano più a saggiare difese e punti deboli più che a cercare di fare davvero male. Del Cane lo tenne a bada senza sforzo: era evidente che una ferita alla spalla frenava suoi colpi. Quando Del Cane riuscì a bloccare la serie di attacchi e aprirsi un varco per passare al contrattacco, lo spadaccino arretrò. Del Cane non gli diede tregua fino a che non riuscì a disarmarlo: la spada cadde ai suoi piedi. Lo spadaccino fece un balzo indietro per portarsi fuori dalla portata della sua lama.
Nella pallida luce che in qualche modo illuminava il vicolo il suo volto sembrava una maschera di dolore e fatica.
“Sei un buon avversario, Del Cane,” disse. “Forse sei migliore di me.”
Rise. “Certo che sono migliore di te, figlio della strega.”
“Già.” Lo spadaccino portò una mano sotto al mantello. “Tu forse non faresti questo in un duello.”
Ebbene sì: dopo l’intervista allo Scrittore-Spadaccino Jari Lanzoni, questa settimana vorrei presentarvi lo Scrittore dello Spadaccino Alessandro Vicenzi. Il “dello” è necessario, visto che il personaggio principale delle storie di Alessandro Vicenzi è noto proprio con questo epiteto, nonostante qua e là emergano indizi sul suo vero nome.
Lo Spadaccino di Alessandro Vicenzi si muove tra Italia, Europa continentale e avamposti d’oltremare al di là dell’oceano atlantico, in un Cinquecento storico e avventuroso, ma dove il fantastico ha un ruolo spesso di primo piano: streghe, razze sovrumane, mostri lovecraftiani sperduti su isole tropicali e tutto il campionario tipico dell’avventura fantastica. Lo Spadaccino stesso è un po’ Solomon Kane, un po’ Alatriste e un po’ uno scanzonato picaro italiano, abilissimo di spada, pronto alla risata un po’ più che i suoi due ispiratori musoni, forse figlio bastardo di un Papa, a voler credere a quanto dicono di lui…
Come nel caso di Jari Lanzoni, non potevamo non contattarlo per l’antologia Zappa e Spada, per la quale già sappiamo che ci onorerà con un racconto basato su reliquie, santi, negromanti e avventurieri, nello stile che più lo contraddistingue.
Per tutti questi motivi, ho deciso di presentarvi anche Alessandro Vicenzi con questa lunga chiacchierata. Ecco dunque la vostra…
Intervista ad Alessandro Vicenzi
Ciao Alessandro, presentati e parlaci un po’ di te e delle avventure dello Spadaccino: come ti è venuta l’idea, cosa ti piace di più quando scrivi di lui e dove sta andando la serie.
Ciao, grazie dell’invito su Caponata Meccanica. Sono nato (per un soffio) alla fine degli anni Settanta a Genova, ma ormai vivo a Bologna da quasi vent’anni. Nella vita quotidiana faccio il redattore di saggistica in una casa editrice. Dall’agosto del 2015 ho iniziato a pubblicare “novelle” sul Kindle Store.
Lo Spadaccino è un avventuriero (il cui nome è ignoto) di origine genovese nato tra il 1510 e il 1515, che vive una serie di avventure condite di elementi fantastici, ambientate (per ora) tra l’Europa, il nord Africa e il Nuovo Mondo. Ha un certo timore nei confronti del sovrannaturale e si trova trascinato nelle sue avventure più per caso che perché sia davvero interessato a cercare guai (anche se poi una volta che c’è dentro la curiosità lo spinge a cercare di andare fino in fondo).
Ciò detto, ammirate l’elefante in mezzo alla stanza: lo Spadaccino nasce un po’ da una mia precedente esperienza come autore di alcune fan fiction su Solomon Kane per MarvelIT. Volevo scrivere qualcosa che ne avesse le atmosfere e si svolgesse più o meno nello stesso ma che fosse autonomo.
Così, il mio spadaccino nella sua prima apparizione ha l’abbigliamento e l’armamento di Kane ma un background e un carattere abbastanza diversi. La serie è nata dal fondo, perché il primo episodio pubblicato, “L’Isola del Teschio“, è (per ora?) quello che si svolge più in là nella vita dello Spadaccino. L’Isola nasceva in realtà come una storia autonoma, con l’idea di riprendere la ferocia del racconto di pirati di Valerio Evangelisti pubblicato sull’antologia “Anime nere” (da cui poi è nata la trilogia di Cartagena) e aggiungerci una buona dose di orrore sovrannaturale; in pratica, fare un Pirati dei Caraibi senza il PG.
Al momento sono usciti quattro titoli, tutti in qualche modo collegati tra loro ma leggibili autonomamente e in qualsiasi ordine (anche perché li scrivo in ordine sparso, per cui per esempio il secondo racconto è una delle primissime vicende vissute dallo Spadaccino).
Siccome non vorrei fossilizzarmi su una struttura fissa, ciascun episodio ha un “genere” differente: il primo, come detto, è una storia di pirati con la magia; il secondo, Colei che canta, un’avventura cittadina lievemente scanzonata (volevo ricreare qualcosa di simile alle atmosfere di Lankhmar) con elementi lovecraftiani; il terzo, Gatto e Libertà, ha degli elementi da romanzo storico (la vicenda ha al suo centro la congiura dei Fieschi ai danni di Andrea Doria), mette lo Spadaccino di fronte al suo passato e, ovviamente, a minacce sovrannaturali; con il quarto, La ragazza e l’angelo, ho provato a mettere in scena una storia in cui lo Spadaccino è più che altro uno spettatore, ambientata in Egitto, dove ho spinto molto sul pedale lovecraftiano.
Da una costola di Gatto e Libertà, poi, è nata una storia di ambientazione contemporanea, Castel della Croce, in cui mi sono divertito a mettere in scena un aspirante “indagatore dell’Incubo” genovese. A differenza delle storie dello Spadaccino, che sono abbastanza cupe, CdC è quasi una commedia.
È stata una faticaccia da scrivere, perché la prima persona “colloquiale” sembra tanto semplice da buttare giù, ma trovare una lingua scritta che avesse la spontaneità del parlato senza suonare né troppo falsa né troppo sciatta è stata una bella sfida.
Ora sto cercando di capire se Carlo Cane, il mio protagonista, possa affrontare altre storie. Spero di sì.
La cosa più divertente di scrivere lo Spadaccino è che è un personaggio abbastanza duttile da poter essere infilato in storie più o meno di qualsiasi genere, quindi non c’è il rischio di annoiarsi. Anche scrivere un antieroe di questo tipo è una sfida interessante, perché devi trovare un modo per tirarlo dentro alle storie: l’eroe classico va in giro ad aiutare la gente, lui vorrebbe semplicemente portare a casa la pelle.
Prossimamente lo si dovrebbe vedere braccato da cacciatori di uomini e poi alla ricerca di El Dorado in Venezuela; ma mi piacerebbe anche raccontare che cosa succede dopo Gatto e Libertà, per riportare in scena Andrea Doria, che è un personaggio strepitoso (tra l’altro uno la cui vita meriterebbe una serie tv, almeno).
Di recente ho seguito una discussionaccia su Facebook in cui si scherzava sugli autori “self”, dicendo grossomodo che sono degli aspiranti scrittori senza qualità. In questi casi, penso sempre a te e ad altri autori come te che conosco, che fanno tutto da sé e vendono su Amazon, e sono di fatto esempi della migliore narrativa italiana di genere. Come vede Alessandro Vicenzi la questione self/casa editrice e come vive questa condizione? Perché hai scelto la terribile via del ronin della scrittura?
Ci sono pessimi scrittori pubblicati e ci sono pessimi scrittori autopubblicati; idem per quelli ottimi, per quelli buoni, per quelli discreti, ecc. Da un certo punto di vista, pubblicare per una casa editrice dovrebbe dare delle garanzie al lettore: vuol dire che qualcuno ha giudicato quell’opera buona abbastanza da investirci dei soldi. In questo senso, capisco chi non si fida degli autori autopubblicati o indie; ma d’altra parte autopubblicarsi può anche voler dire che si è abbastanza fiduciosi di quello che si è fatto da metterci la faccia in primissima persona.
Più pragmaticamente, io credo che ci siano dei formati e dei generi che l’editoria fa fatica a maneggiare. Onestamente, quando ho finito L’Isola del Teschio non ho pensato neanche per un attimo a provare a mandarlo a qualche editore: a chi interessa una storia di pirati e mostri di una settantina di pagine? Inoltre, il self (almeno per come lo interpreto io) ha questo aspetto artigianale/punk che mi diverte molto. Considera, come dicevo all’inizio, che lavoro in una casa editrice; il lavoro editoriale è tutta una lunga serie di compromessi. L’idea di potere mettere in giro qualcosa che è esattamente come voglio io mi piace un sacco.
Ciò detto, per me il rovescio della medaglia è che da self ti devi accollare tutta quella parte di lavoro che invece una casa editrice svolge più efficacemente: la promozione. Quando arriva il momento di preparare i post su facebook e sul blog per annunciare che ho qualcosa di nuovo è sempre una gran fatica; lo stesso dicasi per cercare di tenere alta l’attenzione dopo.
Comunque, non vedo la questione solo nero o bianco; ci sono cose a cui sto lavorando che affiderei volentieri a un editore, sono molto contento di fare parte dell’armata di Zappa e Spada e forse entro l’anno potrebbe uscire qualcos’altro non autopubblicato.
Ho letto sul tuo blog che sei stato anche un giocatore di ruolo. A cosa giocavi? Pensi che il gdr possa contribuire a formare un bravo scrittore?
Tecnicamente, credo che non si smetta mai di essere giocatori di ruolo; o almeno avendo io giocato per molti anni e fin da bambino credo che quella forma mentis mi sia rimasta.
A ogni modo, sono sempre stato più che altro un D&Dista; scatola rossa, AD&D 2a edizione (su cui ho praticamente imparato l’inglese), 3a edizione. Ho un profondo amore per Ravenloft e, anche se è un po’ un guilty pleasure, Dragonlance. Ho giocato parecchio anche a Uno Sguardo nel Buio, prima dell’Advanced; e ricordo con molto divertimento alcune campagne a Cyberpunk 2020 e momenti di assoluto delirio con Toon.
Qualche tempo fa avevo preso Savage Worlds, che mi pare un sistema davvero divertente, ma non sono mai riuscito a giocarci.
A ogni modo: se sei un master, il gdr secondo me ti insegna a non affezionarti mai troppo alle tue idee per una storia, perché sai che da un momento all’altro qualcuno potrà fare (anzi, farà) qualcosa che non hai previsto e dovrai rimettere tutto in discussione. Questo serve molto quando scrivi e ti rendi conto che non c’è verso di fare andare la storia dove volevi andasse. Inoltre, sia da giocatori sia da master, si impara a stare dentro ai personaggi, a basare le loro decisioni su una personalità coerente (almeno se hai la fortuna di giocare con gente che non si limita all’EUMATE più feroce).
Devo anche dire che i consigli al Narratore sul manuale di Vampiri: la Masquerade sono stati forse uno dei primi testi sulla narrazione in senso più lato in cui mi sia imbattuto.
E che lo Spadaccino lo penso sempre come se fosse basato sul kit “swashbuckler” del Complete Fighter’s Handbook di AD&D.
Alessandro Vicenzi è anche un blogger. Parlaci della tua visione del blogging e di dove secondo te stia andando la blogosfera.
I miei blog stanno un po’ facendo le ragnatele, ma ci provo.
Ho aperto Buoni Presagi su Splinder nel 2004, praticamente un paio di ere informatiche fa. Ancora oggi lo porto avanti come una specie di fossile vivente di quella concezione là di blogging: non c’è una linea editoriale, un palinsesto, nulla. Ci finisce quello di cui mi va di scrivere quando mi va di scriverlo o quando riesco a scriverlo (purtroppo ormai il discrimine è questo).
Credo che ormai da anni i post più frequenti siano i racconti dei viaggi fatti con Lucilla, la mia fidanzata, più qualcosa di politica/società, qualche recensione di libri/film… Appunto, un residuo di un tipo di blogosfera (io credo che non sia mai esistita una sola blogosfera, ma tante diverse, con alcuni punti di intersezione) che non esiste più e le cui funzioni sono state senza grossi traumi assorbite dai social network o da piattaforme di microblogging come tumblr.
Di pari passo con la sparizione di questi blog, mi sembra siano invece cresciuti quelli più simili a un prodotto editoriale, con temi ben precisi, una cadenza certa, spesso di supporto ad altre attività. Io ci ho provato con Dorso di carta, che sarebbe il mio blog “da scrittore”, ma appunto il tempo, le cavallette, ecc. Sicuramente in giro c’è molto meno dilettantismo di una volta (anche perché poi la concorrenza è con cose che hanno la struttura di blog ma sono delle vere testate giornalistiche).
A me quel tipo di blogging di una volta un po’ manca. Però forse in realtà mi mancano i miei vent’anni 🙂
Un tuo racconto apparirà nell’antologia Zappa e Spada di Acheron Books. Parlacene un po’.
Per Zappa e Spada, a cui sono più che onorato di partecipare, ho scelto di affrontare un tema che mi ha sempre incuriosito: il culto delle reliquie dei santi. Voglio dire: le chiese sono piene di brandelli di cadaveri venerati con fede assoluta.
Qualche settimana fa sono stato a vedere la cappella di Santa Caterina de’ Vigri a Bologna, dove è esposto, in una teca di cristallo, il cadavere mummificato (dicono spontaneamente, verosimilmente abilmente trattato) di una suora, vestito di tutto punto e assiso in trono, con un libro tra le mani.
C’ero io, incuriosito, e un signore che non ho idea da quanto tempo fosse lì, che la ammirava estasiato e rapito. Era una scena abbastanza surreale (tra l’altro poi la porta della cappella si è chiusa e sono rimasto bloccato cinque minuti con la morta e il tizio).
A questo si deve aggiungere il fatto che la provenienza di molte reliquie è spesso avventurosa, che è un bel modo per dire “improbabile”. A Genova, per esempio, ci sono le ceneri di san Giovanni Battista. I genovesi, di ritorno dalla prima crociata, si erano fermati in Turchia a vedere se si poteva portare a casa San Nicola, che però avevano già preso un po’ i baresi e un po’ i veneziani. In compenso, era avanzato il Battista incenerito e che fai? Lo lasci lì? Ai saraceni?
I veneziani avevano trafugato il corpo di san Marco dall’Egitto nascosto in dei barili pieni di carne di maiale per evitare controlli, narra la leggenda, poi l’hanno sepolto nella basilica e si sono scordati dove.
Inoltre, nel medioevo europeo era prassi comune rubarsi le reliquie a vicenda, perché una reliquia voleva dire pellegrini, quindi commercio. Ho cercato di incrociare tutte queste cose in una storia ambientata in una specie di Appennino tosco/ligure/emiliano, dove si trova un paesino nella cui chiesa è venerata da decenni la lingua di un santo martire giunta dall’Oriente, una lingua che fa gola (ops) a molti…
Grazie ad Alessandro Vicenzi per la sua pazienza!
[…] Longo (autore di troppe cose per riassumerle qui) mi ha intervistato per il suo blog Caponata Meccanica. Tra una melanzana, un cappero e un ingranaggio abbiamo parlato dello Spadaccino, di giochi di […]