The Port of Peril è l’ultimo librogame di Ian Livingstone per la serie Fighting Fantasy, giunta alla sua quarta edizione. La recensione di Alessandro Viola!
Gli appassionati di Fighting Fantasy, la prima serie mai pubblicata di librogame – giunta in Italia come Dimensone Avventura, sapranno già che questa celebre collana britannica che tanto ha dato all’immaginario nerd degli anni ’80 e ’90 è giunta ormai alla sua quarta edizione, ovvero al terzo tentativo, dopo la fine della collana originaria e l’estinzione del settore commerciale dei librogame, di riportare in vita questo progetto di avventure interattive.
Le due riedizioni precedenti, sempre composte da ristampe dei classici e qualche nuovo titolo, con un’estetica migliorata e qualche nuova trovata, sono durate appena qualche anno a testa, ma noi auguriamo lunga vita e prosperità a questa nuova iniziativa, portata avanti stavolta da Scholastic, una casa editrice che si rivolge di solito proprio a lettori di età scolare.
Il primo inedito di questa quarta edizione è The Port of Peril, scritto da uno dei due creatori della serie: Ian Livingstone. Come ben illustrato alla scorsa Fighting Fantasy Fest, di sabato 2 Settembre, altri inediti sono attualmente in corso di scrittura, ma nel frattempo vi lascio a questa recensione, del sempre ottimo Alessandro Viola.
The Port of Peril: il buono, il brutto e il cattivo
The Port of Peril é l’ultimo capitolo della saga dei librogame Fighting Fantasy ed é firmato da Ian Livingstone, che in coppia con Steve Jackson ha dato vita alla serie. É uscito giusto giusto per il trentacinquesimo anniversario di The Warlock of Firetop Mountain, che all’epoca ha inaugurato l’enorme successo di Fighting Fantasy ed é pubblicato da Scholastic, il terzo editore ad occuparsi di Fighting Fantasy dopo Puffin e Wizard Books.
Assieme a The Port of Peril sono stati ripubblicato anche cinque altri Fighting Fantasy storici. Essendo cresciuto leggendo librigame Fighting Fantasy, non potevo perdermelo!
Il buono
Prima di tutto bisogna dire che il nuovo editore, Scholastic, mi sembra perfetto per ri-ri-rilanciare la serie, perché (lo dice il nome, non é un segreto) é molto presente a livello scolastico, con club di lettura di ragazzini nelle scuole, nelle biblioteche e simila: tutto quello che serve per arruolare una nuova generazione!
A prima vista il formato, la carta e la copertina ricordano parecchio le edizioni originali della Puffin, solo che anziché avere lo storico dorso verde ce l’ha dorato, e questo fa pensare ad una operazione nostalgia. L’immagine in copertina, molto colorata, non é per niente male, anche se lo stile é semplice e diverso da quello storico di molte copertine Fighting Fantasy, che peró, bisogna dirlo, non avevano certo il lor certo punto forte nelle copertine, che spesso erano parecchio scadenti.
The Port of Peril é una classica storia Fighting Fantasy di Ian Livingstone, con un solo finale all’ultimo paragrafo (il 400, ovviamente!) e ambiantata in Allansia, passando da diversi luoghi visitati nei volumi precedenti (si parte da Chalice e si viaggerá anche nelle Moonstone Hills, nella Darkwood Forest e in Port Blacksand), incontrando molti vecchi amici (Yaztromo, Nicodemus, ma anche Mungo e altri personaggi minori o loro collegati) e vecchi nemici (come Lord Azzur e Zambar Bone).
Ian Livingstone non é in vena di esperimenti regolamentari o compositivi strani (come fu per il precedente volume, Blood of the Zombies) e non presenta un percorso particolarmente complicato né azigogolato: si visita Chalice, all’inizio, e si puó “tornare indietro” in molte occasioni, quando la logica lo permette, praticamente con un percorso a mappa (se ben ricordo é la prima volta che Ian Livingstone lo permette!) e anche nel dungeon che affronteremo a Skull Crag, tra le colline, non ci sará solo da penetrare fino alla immancabile cassa del tesoro, ma anche da gestire il percorso di uscita. La cosa mi ha sorpreso in positivo, perché questi sono sempre stati aspetti deficitari nella produzione di questo autore storico.
Un aspetto positivo che ha accompagnato quasi sempre i librigame di Ian Livingstone é la capacitá di creare un mondo ben definito, con peculiaritá ben chiare, un mondo vivido e facilmente riutilizzabile per il gioco di ruolo.
Il continente di Allansia del mondo Fighting Fantasy di Titan, con una lunga serie di memorabili locazioni e personaggi, é infatti quasi tutto farina del suo sacco, ed é veramente una buona miniera di situazioni e personaggi per il gioco di ruolo. Questo volume non fa eccezione e soprattutto la sezione iniziale a Chalice é una ottima fonte di ispirazione per avventure ambientate in questa cittá, che non é un covo di ladri e tagliagole come Port Blacksand, ma una locazione piú mercantile, con parecchie peculiaritá stimolanti.
Il livello di difficoltá accessibile sia per quanto riguarda le scelte dei bivi, sia per quanto riguarda la difficoltá dei combattimenti (mai come in questa occasione si sono trovare svariate possibilitá di potenziare sensibilmente il nostro personaggio) mi fa pensare che Ian Livingstone abbia fatto non solo e non tanto una operazione nostalgia (che sicuramente é ben presente), quanto soprattutto uno sforzo per coinvolgere lettori piú giovani, quelli che sono nel mirino del nuovo editore Scholastic.
La storia di The Port of Peril é un po’ strana ed episodica, non come quella di Caverns of the Snow Witch, ma quasi: all’inizio sei un avventuriero al quale la fortuna ha voltato le spalle, lacero ed affamato, che per caso rinviene una strana mappa, probabilmente falsa, ma, non avendo altro da fare, la segui comunque. Magari non troveremo proprio un tesoro, ma un amico sí, o meglio un’amica: Hakasan Za, una ninja proveniente da Zenghis (al paragrafo 400 ci verrá suggerito che potrebbe essere proprio lei il ninja che si presenta nell’introduzione di Deathtrap Dungeon, una delle molteplici chicche presenti in questo librogame!). Con Hakasan Za andremo in cerca di tesori e quasi casualmente scopriremo una gravissima minaccia per il continente di Allansia: il ritorno imminente del demoniaco Zambar Bone, per cui andremo in cerca di consiglio e aiuto prima dal famoso mago Yaztromo e poi dal suo vecchio amico Nicodemus, fno allo scontro finale contro Zambar Bone e il suo esercito di scheletri ai piedi della torre di Yaztromo.
Una storia ragionevolmente semplice e lineare, senza particolari fuochi d’arificio né complicazioni, che strizza in molti punti l’occhio ai lettori nostalgici, ma anche accessibile ai lettori piú giovani: tutto sommato una combinazione vincente!
Il brutto
Le piccole immagini ripetute che separano i vari paragrafi sono in toni di grigio e sono, onestamente, una vera schifezza fatta malamente al computer. Sembrano appena scaricate dalla rete da parte di qualche autore amatoriale e schiaffate lí alla bell’e meglio. Inguardabili.
Il principio dell’avventura fa immediatamente scuotere la testa: nell’introduzione ti si spiega che sei un avventuriero affamato e in qualche occasione si cercherá tra i rifiuti qualcosa da mangiare, peró nel regolamento si spiega che cominci l’avventura con dieci pasti!
Al primissimo paragrafo, ancora prima di darti la possibilitá di perdere punti di resistenza, viene data la possibilitá di incrementarli. Peró nel regolamento ti hanno appena spiegato che i tuoi punti resistenza non possono mai superare il loro valore iniziale, per cui l’incremento non si puó applicare… e allora che senso ha?
É brutto, ma proprio brutto, rendersi conto che Ian Livingstone, scrivendo questo librogame, non si é preso nemmeno la briga di rileggersi il regolamento (al limite bastava cambiarlo un po’ per aggiustare la logica). Il fatto che questa epifania giunga proprio all’inizio dell’avventura non aiuta per niente a superare le naturali perplessitá iniziali.
Il cattivo
Le immagini a tutta pagina che sono presenti sono molto diverse dall’iconografia classica Fighting Fantasy in bianco e nero, ma di per sé non sono male. Peró é chiaro che originalmente erano a colori e in questo caso sono state stampate in toni di grigio: che senso ha visto che sono illustrazioni originali commissionate apposta per questo libro?
In qualche modo il comparto grafico é il contrario dell’iconografia storica Fighting Fantasy: la copertina é piuttosto buona (aspetto spesso carente nelle copertine storiche), le immagini a tutta pagina in toni di grigio non sono un punto particolarmente forte (mentre storicamente sono spesso state ottime) e le immagini piccole di riempitivo tra un paragrafo e l’altro sono una vera indecenza. Non capisco il senso, anche se oggi come oggi le immagini mi interessano meno che un tempo.
Ian Livingstone, come detto, non ha inserito dei percorsi super arzigogolati e casuali come in altre sue opere (cito un esempio a caso: The Crypt of the Sorcerer), peró ci sono alcune morti istantanee che derivano direttamente da una scelta destra-sinistra a dei bivi dove a volte non abbiamo nessuna informazione aggiuntiva: se andiamo da un lato possiamo continuare l’avventura, se andiamo dall’altro moriamo. In particolare questo accade per tre volte consecutive quando visitiamo Skull Crag.
Forse per certi canoni di Ian Livingstone solo tre scelte al 50% sono anche poche (tra l’altro, i suoi lettori piú affezionati sanno sempre da che lato andare, almeno all’inizio, quando si entra in uno dei suoi dungeons…), ma, insomma, si poteva forse fare qualcosina di meglio in tal senso.
Tutto sommato…
Come valore assoluto, questo librogame non rappresenta l’apice della produzione di Ian Livingstone (quello é Deathtrap Dungeon, ovviamente), peró si puó serenamente paragonare con avventure come City of Thieves, Caverns of the Snow Witch, Forest of Doom e Island of the Lizard King, tutte avventure storiche, che hanno fatto innamorare milioni di ragazzi ai librigame, per cui tutto sommato si tratta di una buona e solida aggiunta alla serie (consa che il precedente Blood of the Zombies, per esempio, non é stato).
In particolare ho apprezzato la capacitá di suscitare interesse e passione sia da parte dei veterani nostalgici dei librigame, sia da parte dei giovani pischelli ai quali é solitamente interessato il nuovo editore della serie.
Certo, per arrivare alla fine (e magari apprezzare i vari riferimenti incrociati e camei) bisogna prima mandare giú certi scivoloni di cattivo gusto negli aspetti grafici e il detto scollamento tra il regolamento e le primissime parti dell’avventura, cose che é possibile indispongano fin dal principio molti lettori, anziché conquistarli fin dalla prima pagina.
Sarebbe bastata veramente poca, ma proprio poca attenzione in piú, per evitare questi problemi.
La prima serie Wizard Books (pubblicata dal 2002 al 2007) é composta da 29+1 volumi (tre dei quali originali e non ristampe da serie precedenti), mentre la seconda serie Wizard Books (pubblicata dal 2009 al 2012) é composta da 16+1 volumi (tre dei quali originali e non ristampe da serie precedenti).
É tanto? É poco? Comunque per un editore é una mole di lavoro non trascurabile (47 edizioni in dieci anni!) e non credo si possa liquidarla su due piedi.
Non hanno raggiunto i numeri di vendita degli anni ottanta? Chi altro lo ha fatto? Se fosse comunque stato un flop terribile avrebbero interrotto le pubblicazioni molto ma molto prima di raggiungere 47 edizioni in totale, credo.
Quello che io spero é che Scholastic si dimostri molto migliore nell’accalappiare il pubblico giovane, anche perché con i problemi che ci sono nel comparto grafico, i lettori che hanno qualche anno come me di sicuro non andranno a comprare le edizioni nuove dei librigame che giá hanno sugli scaffali.
Forse le edizioni speciali superlusso potranno fare qualcosina in questo senso, ma personalmente ho i miei dubbi e se acquisteró nuovi volumi saranno solo quelli nuovi e non ristampati.
Perdonami Mauro, ma nell’introduzione del libro è scritta chiaro e tondo la strada da seguire dentro Skull Crag, quindi a cascare nelle morti istantanee può essere solo il lettore distratto!
È solo in un paio di occasioni, verso la fine del libro, che si incappa in situazioni aut/aut un po’ meno prevedibili. Per il resto, si muore solo se si violano (ingenuamente) le tacite regole che Livingstone considera sacre da sempre: abbandona il compagno di viaggio, non aiutare la gente in difficoltà, vai appositamente fuori strada anche se la strada ti è stata indicata chiaramente da tutti…
The Port of Peril è effettivamente molto più “buono” degli altri libri di Livingstone… e posso solo pensare ad un motivo: l’opera non è stata scritta da Livingstone (che del resto è già notoriamente ricorso ai ghost writer in passato). Anche lo stile del testo porta a questa conclusione.
Libro abbastanza deludente, comunque: ancora una volta non c’è un confronto con Zanbar Bone che faccia onore al potere dell’avversario, e non c’è mai un grande senso di tensione. The Port of Peril è essenzialmente un regalino ai vecchi lettori, pieno di citazioni, ma scarso sotto tutti gli altri aspetti. In confronto agli altri mostri sacri con cui viene pubblicato, ci fa una magra figura.
E sì, il confronto tra le illustrazioni dei vecchi FF (Russ Nicholson, Iain McCaig) e quelle del volume inedito fa male al cuore. Non c’è proprio storia.
Per il discorso delle ID lascio rispondere il recensore Yaztromo. Poi per il resto, immagino tu abbia ragione. Ancora non li ho presi questi lg nuovi quindi mi affido a voi. 😀