Tanith Lee ci ha lasciato. Muore uno dei pilastri fondamentali della narrativa fantastica del Novecento, autrice d’eccezione assoluta.
Non ho particolari aneddoti da citare su Tanith Lee, non so nulla della sua biografia, del ruolo della donna nelle sue opere (cit.), dello spazio che ha rivestito nella narrativa moderna di genere fantastico. Per molte di queste cose vi lascio ai link che stanno qualche riga più giù.
Quello che so è di aver letto quattro suoi romanzi e di reputarla da allora una autrice molto in alto nel mio gotha personale degli autori fantasy, un gradino sotto il professor Tolkien e al secondo posto ex aequo, a pari merito con GRR Martin e Ursula Le Guin. Il podio, a dir la verità è un po’ conteso negli ultimi tempi, con la riscoperta di CA Smith e Howard e l’ingresso di nuovi autori come Scott Lynch nel mio pantheon personale, ma le passioni dell’adolescenza non possono essere battute mai più, giusto?
Abercrombie, Lieber, Goodkind, Jordan e Sapkowski, mi spiace, sarà per un’altra volta…
Ho letto Cyrion, non male, ma soprattutto tre dei romanzi che compongono il grande affresco del suo ciclo della Terra Piatta, e cioè Il signore della notte, Il signore della morte e Il signore delle illusioni, nella (probabilmente) scarsissima traduzione della Newton.
Quello che c’è in quei tre romanzi, in quanto a capacità immaginifica, lirismo del linguaggio, profondità delle trame, fascino dei protagonisti, è stupefacente.
Tanto per parlarci chiaro, ecco l’incipit degli incipit:
Una notte, Azhrarn, Principe dei Demoni, uno dei Signori delle Tenebre, decise, per suo diletto, di trasformarsi in una grande aquila nera. Volò a est e a ovest, con le sue grandi ali, e poi a nord e a sud, fino ai quattro angoli del mondo, poiché a quel tempo le terra era piatta e galleggiava sull’oceano del Caos.
Osservò le processioni illuminate degli uomini che si trascinavano sotto di lui con le loro lampade minuscole che parevano scintille, e vide le onde del mare infrangersi come un’improvvisa infiorescenza candida sulle rive rocciose. Sorvolò, gettando uno sguardo di disprezzo ironico, le alte torri di pietra e i pilastri delle città, poi si appollaiò per un attimo sulla vela di una galera imperiale, dove un monarca e la sua regina erano seduti a cibarsi di un favo di miele e a gustare quaglie, mentre i rematori faticavano chini sui remi; una volta poi chiuse le ali color dell’inchiostro e, posatosi sul tetto di un tempio, rise forte all’idea che gli uomini avessero delle Divinità.
Mentre ritornava verso il centro del mondo, nell’ora che precede il sorgere del sole, Azhrarn, Principe dei Demoni, udì la voce di una donna che piangeva, un suono solitario e triste quanto il vento invernale. Pieno di curiosità, si lasciò cadere a terra e atterrò su una collina spoglia e nuda quanto un osso, accanto alla porta di una stamberga miserevole. Lì rimase in ascolto, e assunse forma umana – infatti, la sua natura gli permetteva di prendere qualsiasi forma desiderasse – poi entrò.
Inutile parlarne troppo. Se vi fidate del Buon Vecchio Zio Mauro, andate a recuperare quelle bellissime storie e magari tutte le altre di questa splendida scrittrice, che ha saputo imprimere il suo marchio indelebile e inconfondibile sulla narrativa fantasy.
Peccato trovare il tempo di parlarne solo adesso che è morta…