Lazzaro Spallanzani, viaggiatore ottocentesco, ci lascia nei suoi diari un ricordo dello scoglio di Scilla. Sebbene non soffiasse quasi il vento, egli ci dice, da sotto la rocca proveniva “un fremere, un tuonare, quasi un confuso latrare di cani” udibile distintamente dal mare fino a due miglia di distanza.
La gente del posto gli spiegò poi che tra le caverne sotto la grande roccia ve ne era una immensa detta Dragara, l’“Antro del Drago” e che da lì proveniva, da sempre, l’immenso fragore.
Gli autori antichi ce lo descrissero millenni prima, questo Drago, questa Scilla, il grande mostro che con Cariddi si contendeva le stragi dello Stretto e viveva nell’antro immenso sotto la Roccia.
Il suo nome è pregreco, come quello di Cariddi, cretese, siculo o fenicio; significa forse “cane”, forse “squalo”, forse “predatore”.
Era essa un mostro orribile, composto da parti di donna, di lupo, di cane e di pesce, numerosi arti informi simili a escrescenze, zampe o tentacoli, voce di livida cagna neonata e diverse teste latranti e spaventose; i suoi denti erano su tre file, fitti e pieni di nera morte. Viveva nascosta e acquattata nella sua buia grotta, ma spingeva fuori le sue bocche voraci, sempre aperte e insidiose, e con esse afferrava e divorava delfini, pescicane e mostri marini. Nemmeno le navi e gli uomini potevano scamparle, perché Scilla attraeva tutto verso i suoi scogli, spezzando, affondando, annegando e divorando.
Insomma una aberrazione “che nemmeno gli dei potevano guardare senza provare orrore”.
Le leggende ci dicono che Scilla fosse in origine una fanciulla come tante, contaminata e mutata poi in mostro da una qualche sostanza, un filtro magico, un’erba misteriosa, un’alga delle profondità, la stessa sostanza che trasformò forse, in altri miti, anche il pescatore Glauco.
Se in ogni parte di questa leggenda vi è la traccia di una verità, fatta di correnti avverse, pescicane dai denti aguzzi, cadaveri mezzi divorati, grotte oscure, rocce insidiose, fragore di acque e calamari giganti, che cosa rappresenta questa sostanza, che da sempre sembra trasformare gli abitanti dello Stretto di Messina in mostri marini?
Forse sarebbe meglio non saperlo.
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