Nel 1987 la casa editrice EL di Trieste presentava il primo catalogo della sua collana di librogame. A completare la presentazione delle prime serie c’era un editoriale del curatore, Giulio Lughi. Una riflessione che lascia stupefatti, soprattutto per il tono forse troppo profondo per un catalogo di libri per ragazzi (Borges? Queneau? Calvino? Eco?).
Direttamente dal Catalogo EL del 1987, i librogame secondo Giulio Lughi:
“Dove sono i romanzi d’un tempo, ampi e maestosi come fiumi a valle, nitidi e lineari come un paesaggio ben disegnato? Chissà…
Certo che oggi cinema, fumetti, serial televisivi sembrano aver innescato una diversa sensibilità narrativa, che procede a grossi tagli puntando l’attenzione su singoli momenti della storia, procedendo scena per scena, immagine per immagine, piuttosto che lungo le linee del discorso, secondo una sintassi che – almeno alla TV- deve prevedere già in fase di produzione le scansioni dettate dall’intervallarsi degli spot pubblicitari e che dall’altra parte incontra un lettore ormai culturalmente pronto a operare secondo un’estetica da telecomando che lo spinge a muoversi nell’universo comunicativo, pescando con disinvoltura frammenti narrativi e di informazione in funzione di una sua, personale, onnivora compilation.
E in questo contesto che il librogame trova la sua naturale collocazione. Il lettore può saltare da una situazione all’altra, può scegliere un percorso individuale all’interno della vicenda, può pilotare i colpi di scena.
La frantumazione della storia diventa il principio stesso del procedimento narrativo. Lasciando al lettore la possibilità di mettere in gioco tutta la sua immaginazione e il piacere del rischio.
Ma tutto ciò non è una novità, come è stato più volte segnalato.
Il gusto combinatorio, che spinge a giocare con gIi elementi del testo (lettere, parole, pagine), è di evidente derivazione cabalistica e percorre tutto il nostro Rinascimento fino a sbocciare sotto il segno dei borgesiani sentieri che si biforcano nelle pagine di Queneau e dei suoi amici dell’OULIPO (Laboratorio di Letteratura Potenziale) nonché nel Calvino del Castello dei Destini Incrociati. Esso si basa sulla convinzione che sotto la superficie del testo si cela un denso spessore di significati, che attendono l’intervento di chi legge per essere portati alla luce.
Ci troviamo cosi davanti ad un’altra caratteristica del librogame: l’immedesimazione (“il protagonista sei tu”). A prescindere dai suoi impieghi nei Role-Playing Games psicanalitici, pedagogici o manageriali, l’immedesimazione gioca un ruolo importante anche dal punto di vista narratologico: gli elementi linguistici tipici della narrazione romanzesca (pronome egli, tempo passato remoto, ecc…) vengono sostituiti da quelli che caratterizzano la narrazione interpersonale (pronomi io, tu, tempo presente, ecc).
In questo modo il diaframma che separa l’opera dal suo contesto tende a rompersi, consentendo libero accesso a quel Lector in fabula che di norma agisce come principio latente celato tra le pagine, ma che a volte si mostra: ad esempio andando dentro e fuori dallo schermo nella Rosa purpurea del Cairo o vestendo i panni dello scugnizzo che copre d’insusti ‘o malamente non appena mette piede in scena.
Il librogame sembra dunque condensare in maniera certo più vistosa spunti e tendenze presenti da sempre nella letteratura: ma il fascino sottile leggermente ambiguo che esso esercita, oggi sulle più disparate categorie di lettori grandi e piccini, chierici e laici, ha forse anche un’altra spiegazione.
Mentre grandi teorici della comunicazione ci dicono che l’onda informatica sta spingendo l’umanità verso un’oralità “di ritorno” non primitiva conseguente alla perdita della scrittura, ecco che questo frenetico frugare tra le pagine in cerca di una storia, di un racconto, di un significato acquista forse una valenza simbolica e ci mostra noi stessi, domani, nell’atto di compiere un gesto rituale di omaggio a un feticcio, l’oggetto-libro, che avrà perso buona parte della sua funzionalità.
Attenzione: i gesti e i procedimenti del lettore di librogame, oggi, sono gli stessi che compie Adso da Melk il novizio benedettino de Il Nome della Rosa, il quale dopo l’incendio della Biblioteca vaga tra le rovine raccogliendo qua e là singoli fogli semicombusti, sperando di recuperare il filo di una storia, il senso di una tradizione…”
Giulio Lughi
Quante segate che scrivi, a me piaceva solo picchiare i mostri 🙂 🙂 :).
PS E dire che mi sono laureato in Semiotica del Teatro, quindi un po’ ne capisco :).
Guarda che è proprio la mia opinione. Infatti non l’ho scritto io, ma Giulio Lughi… Era segnalato un po’ dappertutto… 😉