Sembra da qualche tempo che ci sia un’opinione diffusa e in crescita sulla necessità di semplificare continuamente ogni informazione e trovare modi per trasmettere scienza, arte, cultura e intrattenimento nelle maniere più basilari ed elementari sia possibile.
Alcuni esempi, prima di trarre delle conclusioni:
Caso 1: Un paio di giorni fa, Ian Livingstone, creatore e curatore da 30 anni della serie Fighting Fantasy nonché pezzo grosso di compagnie che si occupano di videogame, gdr, giochi di miniature e libri vari, ha messo in distribuzione il suo nuovo librogame, sperando che possa avere il successo dei numeri precedenti. In una sessione di autografi, gli è stato chiesto perchè avesse cambiato le trentennali regole della serie per quest’ultima uscita, riducendo moltissimo le meccaniche di gioco. La risposta è stata “la gente non ha più il tempo di affrontare lunghi combattimenti nei librogame.”
Domanda 1: Si presume dunque che il lettore di oggi di un librogame sia più disattento e impaziente di uno del 1982? O del 1992?
Caso 2: Un importante, aggiornato e competente sito che parla di scrittura tecnica, copywriting e tecniche di comunicazione pubblica di recente i seguenti contributi:
-
Alzare l’asticella dei concetti, abbassare quella del linguaggio
-
Economist Style Guide: l’introduzione
-
L’usabilità delle parole
I tre testi, autorevolissimi, vanno tutti nella stessa direzione: semplificare, usare sempre le parole più chiare e diffuse per ogni concetto, abbassare l’asticella del linguaggio il più possibile. Colpisce particolarmente l’intervista al linguista Gabriele Pallotti “uno dei maggiori esperti italiani di linguaggio chiaro ed efficace” e autore di Che storia! La storia italiana raccontata in modo semplice e chiaro. Dice Pallotti (ma è lo stesso ragionamento di tutti gli approfondimenti citati):
Secondo me si può semplificare molto nei libri scolastici, senza timore di abbassare alcuna asticella. La scuola italiana considera la difficoltà linguistica, specialmente quella lessicale, un obiettivo educativo fondamentale, mentre è un male da evitare. Provate a leggere i testi dei premi Nobel: secchi, lineari, direi anche semplici, al di là della complessità della materia. La difficoltà linguistica emerge invece tipicamente negli scritti degli autorucoli provinciali, Azzeccagarbugli accademici che, avendo poco o niente da dire, rivestono il loro niente di paroloni difficili.
A scuola bisogna insegnare a capire la complessità dei fenomeni, non a dare etichette astruse per descriverli. Bisogna alzare l’asticella dei concetti e abbassare quella del linguaggio. Qualche anno fa l’indagine internazionale OCSE-PISA rivelò che metà dei quindicenni italiani non aveva capito che la notte segue il giorno perché la Terra ruota sul suo asse. Eppure fin dalle elementari si insegnano i termini rotazione, rivoluzione, asse terrestre, dì, notte, e poco dopo sui libri troviamo persino afelio e perielio.
L’insegnante interroga sui nomi, non sui processi, abbagliato da una specie di feticismo terminologico. Ugualmente, ci hanno frastornato fin da bambini sulle parti del fiore (petali, sepali, stami, pistilli, ovario, talamo ecc), ma tante persone, anche laureate, non capiscono alla fine che il fiore serve a riprodursi, che è l’equivalente degli organi genitali degli animali. E vogliamo parlare della distinzione tra immissario (fiume che entra in un lago) ed emissario (fiume che ne esce)? Servono proprio due nomi per questi due fiumi? (grassetto mio).
Domanda 2: Ma davvero è auspicabile una istruzione scolastica che elimini i termini scientifici dai programmi? Che miri a limitare il vocabolario di scolari e studenti fino al minimo comune denominatore? Dove si usi “fiume che entra in un altro fiume” invece che “immissario”?
Caso 3: Durante alcuni concorsi di racconti per dilettanti e amatori capita ormai di leggere constatazioni di chiaro intento critico come le seguenti: “per ben due volte ho dovuto interrompere la lettura per andare a cercare una parola sul dizionario” e “sottolineo l’abbondanza di termini astrusi, non di uso comune”. In particolare, simili affermazioni sono state rivolte ad alcuni racconti del vincitore del Premio Urania 2012, Alessandro Forlani, ma sono ormai sottolineature diffuse e condivise da molti utenti, lettori e commentatori su tutta la rete.
A un certo punto della storia deve essere passato il concetto che imparare una parola nuova o utilizzare un vocabolario ricercato siano difetti della narrativa e non pregi. Eppure fino a vent’anni fa persino Topolino era pieno di termini strani, bizzarri e volutamente desueti, per arricchire il linguaggio dei personaggi e di conseguenza il bagaglio linguistico di chi lo leggeva (bambini): a parte le onomatopee, le storie erano piene di Clarabelle, Gedeoni e Zenobie che esclamavano “me misero! me tapino!” con verve melodrammatica.
Domanda 3: Da dove si dovrebbero imparare parole nuove se non dai libri? Termini tecnici, parole antiche, lemmi scientifici, arcaici e speciali, che arricchiscono il linguaggio e quindi, più o meno indirettamente, l’intelligenza, andrebbero eliminati, lasciati solo ai dizionari storici o scientifici?
Se non fosse un argomento troppo generale e a rischio di scadimento nella retorica, a tutti questi casi andrebbe inoltre aggiunta il generale appiattimento contenutistico della scuola e dell’Università italiane, dove i programmi si fanno di anno in anno sempre più facili, le lezioni più semplici e la tensione continua da parte dei docenti è quella di avvicinare sempre di più la materia ai discenti, senza una seria analisi della qualità dei livelli di attenzione di chi dovrebbe imparare. Manca forse la consapevolezza che imparare qualcosa dipende innanzitutto dalla volontà attiva del discente?
Insegnare attraverso pupazzetti, disegnini, filmati, attività varie non migliora la qualità dell’apprendimento ma anzi abitua il discente a soglie dell’attenzione sempre più basse e all’uso di supporti sempre più superficiali e passivi.
Detto questo, ecco la considerazione finale: Le meningi vanno spremute. La memoria va esercitata, per ore, per giorni, per anni. Un’attenzione distratta andrebbe educata, non viziata. Abbassare il livello del linguaggio e ridurre la profondità dei contenuti, anche linguistici, di romanzi, libri scolastici e testi di comunicazione non è una conquista, ma una regressione, un disvalore.
L’asticella del linguaggio, quella della conoscenza e quella dell’intelligenza andrebbero continuamente alzate, pena la fine dell’evoluzione mentale e l’inizio di una regressione della specie.
.
Ho apprezzato molto questa riflessione e avrei qualcosa da aggiungere:
– Credo che la soglia dell’intelligenza non sia poi variata tanto nel corso del tempo. In ogni luogo, in ogni dove, ci sono sempre state persone più o meno intelligenti. La grande differenza rispetto al passato è che, per la prima volta da sempre, la quasi totalità della popolazione dei paesi del primo e del secondo mondo è in grado di leggere e scrivere e soprattutto si sente in dovere di dare giudizi più o meno dotti su questo o quello. E’ nata una nuova classe di “intellettuali” che non sono tali ma che pensa, vede e provvede.
“Non capisco una parola quindi è desueto.”
“Io so di sapere, se non so è colpa dell’altro.”
“Se non comprendo il senso lo biasimo. Se agli altri piace mi piace.”
“Se non comprendo il senso mi piace.” ( Questa è più rara )
Sono solo alcune delle molteplici categorie di persone che si vengono a formare in questa massa di nuovi grandi intelletti. Con la cultura a portata di mouse, con la memoria di migliaia di persone nascosta dentro un server di internet o un browser quasi nessuno ha davvero voglia di migliorare la propria memoria, di affinarsi al di là della nuova mente che pensa, scrive e dice per te.
E quel quasi nessuno, secondo me, corrisponde a quella bassa liquota di persone che ha sempre amato pensare con la propria testa, presente in ogni luogo e in ogni dove, sempre e comunque. Loro sono la minoranza, loro sono l’errore.
La domanda finale è:
– Io, tu, chi legge, da che parte stiamo ?
Chi siamo davvero ?
Ai posteri.
Ai posteri.
Grazie Giuseppe per l’ottima riflessione. Hai colto il punto di quello che intendevo dire.
E’ davvero un bel sito il tuo, sto cercando da mezz’oretta un tastino che mi permetta di seguirlo senza trovarlo. Dannata tecnologia.
Grazie dei complimenti!!! Nella colonna di sinistra ci dovrebbero essere “Controlla la caponata” per abbonarsi e “abbonati via mail”. Dovrebbero essere quelli!
Ci ho provato ma non mi permette di iscrivermi e mi rimanda a un link corrotto.
Accidenti! Provo a verificare oggi da qualche altro pc. Comunque ieri si è registrato un altro follower, quindi il tasto dovrebbe funzionare, in teoria.
Ce l’ho fatta !
Perfetto. Grazie allora per avermi concesso la tua fiducia. Hai capito qual’era il problema?
Non capisco l’eccessivo, non richiesto, inopportuno accanimento sulla lingua… Cioè: me lo spiego come potrei spiegarmi la presenza arrogante dei manuali ‘lasciaperdereiparoloniescrivisempliceperch’èl’unicomodo-l’ottocentoinrealtànonèmaiesistito’ e di un pauroso, allarmante abbassamento del livello culturale nelle scuole e università… E’ allarme rosso.
Succede un po’ come per la musica: butta già la dance, il resto verrà da sé… certo, ci saranno sostenitori di tutt’altro, ma saranno esigue tribù (bellissimo il manifesto a Roma di più libri più liberi: la tribù dei lettori… se non c’ho orinato sopra è perché proprio non mi scappava, si vede).
E, a proposito di musica, come mai non ci ritroviamo gli stessi cervelloni a parlare…?
Perché nessuno dice ‘per scrivere musica leggere, si deve far così!’?
Perché con la narrativa tutti credono di sapere tutto, e occupano le più inesistenti cattedre (ci sarebbe una lunga lista di siti e di arroganze le più becere, ma lasciamo stare), e con il resto dell’arte ciò non avviene…?
Forse perché quelle cattedre sono vacanti…? No: chi può avere voce in capitolo, semplicemente non la esprime, si tiene fuori dal gioco e pensa solo allo stipendio, guardandosi intorno come a dire ‘ciò che accade non m’interessa, o comunque mi interessa per uno spazio di tempo troppo breve’. Grandi rivoluzionari, ‘sti sessantottini…
Lasciano a noi la più interessante e ardua delle guerre da sostenere.
‘così belli a gridare nelle piazze, perché stanno uccidendoci il pensiero’.
Vecchioni -ch’è l’unico.
Sono d’accordo con te, tranne che per una cosa: anche con la musica c’è sempre qualcuno che vuol dire la sua senza sapere di cosa si parla…
E’ probabile, x factor e tutto il resto hanno portato questa moda becera anche lì… diciamo che siamo negl’anni del vanveramento più sfrenato, dove pure i dodicenni (ma tu non lo saprai mai) si permettono di mettere il pollice verso sotto la sinfonia di Mozart… solo che con la narrativa mi sembra che la cosa sia ancora più caricata… Io non mi chiedo da dove venga questa saccenza, lo so bene: da una profonda arroganza, e per me finisce lì… mi chiedo solo dove sia finito l’esempio di umiltà genuine, come quelle di Battisti (era Battisti), Massimo Troisi (era Massimo Troisi), Michael Ende (era Michael Ende)…
E’ solo il riflusso d’un’arroganza dilagante, e disarmante perché il più delle volte non prevede nemmeno l’ombra d’un possibile confronto, come succedeva ai tempi loro…
Ed ecco che, lì dove dovremmo festeggiare, perché il web apre miliardi di canali di comunicazione, rimani di sasso perché tutto ciò che siamo riusciti a comunicare in millenni di ‘civilizzazione’ è un odio piuttosto recondito e incallito nell’animo umano; è sconfortante…
E’ a noi, che ci vuole il ’68: a noi ci faceva bene prenderci per mano e fare i girotondi… la mia generazione non sa far altro che dirsi arrivista, e non arriva mai in un cazzo di posto che sia uno. E chi lo fa è talmente coglione che subito si sente dire dietro, sottilmente: ‘ma ndo vai? Scenni giù…’.
Non possiamo comunicare, perché comunicare prevede anzitutto un bene sfrenato per il prossimo… ma tu lo vedi…? Come imperativo abbiamo ‘vincere il mercato’, al limite suscitare l’invidia per la pubblicazione di questo o quello… un po’ poco; tanto poco che dà anche fastidio avercelo sotto il muso, ‘sto poco…
E’ davvero una generazione irrappresentabile, la nostra. Forse c’è anche un pizzico di vergogna nel doverla o volerla tratteggiare; plausibile, ma decisamente d’ostacolo…
http://www.youtube.com/watch?v=3kU7sWpJmek
Qui, al minuto 3, interessante è il commento di Benigni sul quarto dell’inferno… molto molto in linea con l’articolo.
Un altro stralcio di verità lo possiamo carpire da Bene, che così commenta la scuola:
http://www.youtube.com/watch?v=gt0hgbwaR28
Bellissimi pezzi, grazie Danilo!!! 🙂
Sono d’accordo con te. Il signor Pallotti del punto 2 inoltre da un suggerimento secondo me sbagliato, cioè quello di abbassare l’asticella del lessico, però coglie un problema vero, e cioè che molti studenti imparano termini e risposte meccaniche senza avere la più pallida idea di quel che stanno dicendo. Lì credo il difetto stia negli insegnanti, che si accontentano e non hanno nemmeno la voglia di verificare seriamente se uno studente ha capito il concetto oppure no. Giurerei poi che persino alcuni di questi insegnanti non sappiano bene quel che stanno spiegando ai proprio alunni, ma questo è un altro discorso…
Sicuramente il problema della didattica e dell’educazione è molto complesso e ci sono specialisti e studiosi che ci lavorano da anni. Diminuire quantitativamente e qualitativamente l’apprendimento però per me sarà SEMPRE la soluzione sbagliata…
Fermo restando che il linguaggio dei testi scientifici (come nell’immagine in fondo) è basso, perché la lingua della scienza dev’essere il più chiara e meno ambigua possibile, è una riflessione molto interessante. L’autore di un saggio sulla censura in età moderna scriveva, nell’introduzione, che oggi si va perdendo la capacità di leggere testi complessi. Penso sia emblematico, perché personalmente trovo i testi di storia tra i più complessi attualmente a disposizione nelle librerie. Proposizioni ultra-articolati, incisi e riferimenti a pagine di distanza. Per non parlare delle note. Proprio non ci si può distrarre! 😀
Morale: una bella monografia storica, preferibilmente su medioevo o età moderna, può aiutare a recuperare l’intelligenza perduta.
Ho apprezzato molto questo tuo intervento. Sono decenni che continuiamo a livellare verso il basso, quando invece dovremmo fare ogni sforzo per livellare verso l’alto. Però è anche vero che la massa ignorate è molto più semplice da controllare….
Questo fenomeno e’ molto pronunciato nella letteratura anglosassone (ma in Italia li seguiamo a ruota…).
Senza scomodare Shakespeare, se tu vai a leggerti Dickens (che scriveva storie delle classi popolari anche per le classi popolari della sua epoca, e quindi era in un certo senso quello che oggi chiamerebbero autore “mainstream”) e conti le parole che usa e poi ti prendi Harry Potter (e’ abbastanza mainstream?) e conti le parole usate, vedrai che c’e’ un abisso.
Con questa riduzione di parole per fare riferimento (forse) agli stessi concetti e sentimenti, ci abbiamo perso o ci abbiamo guadagnato?
In 1984 (Orwell) chi deteneva il potere rendeva volontariamente desuete le parole in modo da ridurre la capacita’ delle persone di esprimere e comunicare i loro sentimenti (soprattutto di ribellione, ma anche d’amore eccetera).